Nando Dalla Chiesa in una bella serata di settimana scorsa alla festa democratica di Varese ha sostenuto che quella sulle intercettazioni telefoniche non è soltanto una “legge bavaglio”, ma una normativa che, se approvata, sarà un impedimento o un freno alle forze di polizia e alla magistratura nelle indagini su reati gravissimi. Non è vero, ha dichiarato portando esempi convincenti, che le mafie potranno essere combattute in futuro come è avvenuto finora. Vi sarebbero limiti diretti o indiretti  sulle inchieste che agevolerebbero perfino questo tipologia di crimini.  Le stesse preoccupazioni sono state espresse a più riprese dalle procure anti mafia. Per non parlare dei presunti fatti gravissimi che vedono coinvolti l’on. Nicola Cosentino, sottosegretario fino ad ieri, e molti altri politici.
Un fatto mi pare indiscutibile: la grande retata delle cosche in Lombardia è stata resa possibile, o comunque enormemente facilitata, dal controllo delle telefonate. Il primo a saperlo è certamente il ministro dell’interno Roberto Maroni. Quasi tutti gli hanno riconosciuto un merito importante in questa operazione. Perché non interviene, il ministro, a difendere, pur con delle correzioni in merito al giusto rispetto della privacy, lo prerogative dei corpi investigativi che sono in parte sotto il suo controllo politico? Anche questo in virtù dell’alba radiosa che attende l’Italia col federalismo fiscale?