Politica, istituzioni e territorio. Dialogo oltre i partiti
Giuseppe Adamoli   adamoli1@alice.it
inserito il 18/9/2011 alle 09:31

 

Le coppie di fatto sono un numero enorme e comprendono categorie diversissime su cui si fa spesso una gran confusione.
Ci sono le convivenze senza sbocco matrimoniale, quelle tra separati e divorziati (con o senza figli) che non ricorrono al rito civile in municipio. Poi esistono le “unioni di fatto” fra persone dello stesso sesso (una piccolissima parte).
Le famiglie tradizionali fondate sul matrimonio a Milano sono ormai una minoranza. In Lombardia la situazione non è molto dissimile.
Ebbene, il Comune di Milano ha deciso di istituire un registro delle “unioni civili”. E’ il mantenimento di un impegno elettorale preso alla luce del sole e dunque una decisione corretta. Ma si tratta pur sempre di un argomento che solleva discussioni accese e divisive.
Sono personalmente favorevole al riconoscimento alle "unioni civili" di determinati diritti, quelli che si possono far valere a livello comunale, come la partecipazione ai bandi per la casa popolare e altri servizi destinati alle unità familiari. Mi rendo però conto che i registri dei Comuni hanno molti limiti. Penso perciò che sia opportuna una legge dello Stato, che dobbiamo batterci affinché ci sia una buona legge erga omnes.
Oggi è domenica. Mi domando quante coppie di fatto andranno alla messa. E’ solo una curiosità banale. Ma il fatto stesso che possano essere tante dimostra l’estensione sociale di questo fenomeno a prescindere dall’educazione religiosa.
 
 
 
Commenti dei lettori: 38 commenti -
Le famiglie sono una cosa e le unioni di fatto un'altra cosa. I servizi comunali destinati alle famiglie devono andare solo alle famiglie vere. C'è in giro troppa confusione.
Scritto da Tuo ex sostenitore il 18/9/2011 alle 10:04
E' un argomento molto importante e che merita attenzione e impegno da parte della politica. "Oggi è domenica. Mi domando quante coppie di fatto andranno alla messa", scrivi, per ribadire l'estensione del problema. Caro Adamoli, ed è la solita risposta acida di molti che riferisco senza alcuna polemica (anche in relazione al discusso divieto della non comunione ai divorziati) chissà quante coppie regolari che vanno alla messa vivono, in segreto, una propria comoda coppia di fatto. Minoranza?
Scritto da Carlo A. il 18/9/2011 alle 10:05
Caro Adamoli, le pregiudiziali contro le unioni civili vengono tutte dal mondo cattolico nascosto nella destra. Sono arretrati e senza il senso della carità che tanto predicano.
Scritto da Pietro (di sinistra) il 18/9/2011 alle 10:23
Le (ti) confesso che sono presa tra due fuochi, da un parte l'impulso a vedere soddisfatte le attese delle famiglie "irregolari", dall'altra parte il sospetto che in questo modo si possa incoraggiarle fin troppo facendo sentire loro l'appoggio delle istituzioni. Tutto sommato però sento più forte l'esigenza del riconoscimento dei diritti.
Scritto da Giacomina il 18/9/2011 alle 11:17
Io non comprendo le posizioni radicali ed ideologiche (non dissimili da quelle degli integralisti cattolici) di coloro che, per principio, sono contrari al matrimonio. Personalmente, sono favorevole ad un unico istituto, quello del matrimonio. Ed è per questo che mi auspico l’emanazione di una normativa che consenta di sposarsi ANCHE FRA PERSONE DELLO STESSO SESSO. Tutti gli altri tipi di unioni nelle quali le parti, per precisa scelta, non intendono assumere obbligazioni devono, a mio giudizio, rimanere tali. Questo per evitare che diventino “unioni di comodo”, non solo sotto il profilo sentimentale ma anche per quanto riguarda i vari interessi economici. Occorre anche dire che un fenomeno di attualità è costituito dalle “separazioni di comodo”, che avvengono sia per ragioni fiscali che per l’accesso ai servizi essenziali erogati dagli enti locali. Ho letto, di recente, un articolo che illustrava le opinioni della LEF, l’Associazione per la Legalità e l’Equità Fiscale. Nell’articolo venivano quantificati i vantaggi economici derivanti al nucleo familiare da una separazione “di comodo” fra i coniugi. Secondo tale Associazione, il fisco è uno degli elementi decisivi anche nella scelta del tipo di rapporto legale tra due persone che decidono di unirsi. Un capitolo a parte meritano i separati, i quali, spesso, sono impediti in un ulteriore matrimonio per via dei lunghi tempi delle procedure di separazione e di divorzio. Questa lungaggine va a discapito delle tutele della nuova famiglia che intendono formare. In conclusione, ritengo che l’iniziativa di Pisapia (già intrapresa, non so con quale successo, dalla Vicenzi a Genova) abbia carattere squisitamente politico. Ribadisco: più che favorire le unioni di fatto occorre tutelare tutti coloro che vogliono sposarsi e non gli è consentito. Utile l’interrogativo che si (ci) pone in chiusura del post. Comunque, caro Adamoli, questa mattina ho appurato che, per alcuni, le messe sono un momento di “aggiornamento gossip”. Ad esempio, le tre signore che erano sedute davanti a noi questa mattina in chiesa si sono vicendevolmente aggiornate (e, grazie al nostro udito, per il momento ancora in buone condizioni, siamo stati, indirettamente, informati anche noi) dei nuovi casi di “separati in casa” del paese. Pare che il numero stia lievitando, forse a causa della grave situazione economica. Fra tutte le fattispecie, questa mi sembra la più triste: i problemi economici che diventano il collante del disamore. Veramente triste. Bisognerà forse istituire anche un registro dei separati in casa? P.S.: Genova mi richiama don Gallo, che era presente ieri sera a La7. Don Gallo, non ho mai avuto dubbi, è un mito!
Scritto da Mafalda il 18/9/2011 alle 12:01
Le solite fisime dei cattocomunisti. Sareste capaci di sostenere con disinvoltura anche i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Sarebbe un colpo ai principi sociali nei quali credo e ho sempre creduto.
Scritto da Piero G. il 18/9/2011 alle 12:26
La grande invenzione di questo tempo è il ripristino del disordine. Occorre una legge dello Stato che sancisca stabilità al caos. Coabitazioni forzate da problemi economici, promiscuità, omosessualità, incesti, sono tutti rappresentativi di unioni civili. Basta essere in due, maggiorenni, consenzienti. E’ preferibile, e influisce nel criterio di assegnazione degli alloggi, amarsi. Non costituisce unione civile il sequestratore con la sequestrata, quantunque l’amore, talvolta, possa essere reciproco. Non è civile unirsi con le capre nei masi, o abitazioni rurali, ma è allo studio dello Stato stabilire se la capra possa essere considerata consenziente e quindi formare coppia di fatto con il pastore. Nelle pievi da sempre si uniscono perpetue e prevosti. Sono in due, altro che maggiorenni, consenzienti e, trattandosi di gente di chiesa, si ameranno, vorrei anche vedere! (quest’ultima frase da intendersi come esclamazione e non come desiderio). Le stanze parrocchiali sono però terra vaticana e nulla può lo Stato, così sollecito nell’accoppiare e nel dare alloggi a tutti. Ma proprio a tutti.
Scritto da Filippo Valmaggia il 18/9/2011 alle 12:37
Ho scoperto una @Mafalda integralista. Preferisco la Mafalda libertaria con acume, se Don Gallo lo acconsente.
Scritto da G.S. il 18/9/2011 alle 13:52
Quando lei, signor Adamoli, censurerà Filippo Valmaggia sarà sempre troppo tardi. Lei è un moderatore e allora moderi. Io sono un elettore PD e qui siamo in un luogo istituzionale del PD, accamperò pure qualche diritto. Nel frattempo ci penserò io a replicare al suo protègè, che si permette di riportare dati senza citare la fonte. Non dico adesso ma nel post precedente. La fonte! Signor Valmaggia, la fonte!
Scritto da Giorgio Piras il 18/9/2011 alle 15:41
@Mafalda - L’istituto del matrimonio per quanto desiderabile non è obbligatorio. Domandiamoci perché i registri comunali si stanno diffondendo: Padova, Torino e molte altre città. E’ solo una competizione fra chi vuole mostrasi più alla moda? Io penso di no. Devi anche ammettere che le unioni di comodo dovute a ragioni fiscali sono un’infima maggioranza. Più numerose sono forse le unioni di convenienza con le badanti ma queste finiscono nei matrimoni.
Scritto da Giuseppe Adamoli il 18/9/2011 alle 15:49
@Filippo Valmaggia - Era a questo tipo di commenti che mi riferivo l’altro ieri alle 22.50 quando, dopo che avevi vergato tre lunghi interventi, scrivevo: “Posso dirti che ho qualche nostalgia per i tuoi commenti brevi, graffianti, anticonvenzionali? Conoscendoti so che mi darai ragione anche se non lo ammetterai”. Con lo scritto di oggi mi hai dato praticamente ragione. Sono convinto che sarà molto letto.
Scritto da Giuseppe Adamoli il 18/9/2011 alle 15:54
Totalmente d'accordo con il post. Sono contenta di leggere queste considerazioni. Non si può tenere le fette di salame sugli occhi o immaginare che tutte le situazioni di coppia siano idilliache.
Scritto da Luisella il 18/9/2011 alle 16:01
@Giorgio Piras - Ti ringrazio per la sincerità ma ti devo dire tre cose. Uno, questo non è affatto un luogo istituzionale del Pd ma il mio blog personale che resiste da più di tre anni e che ha conservato lo stesso logo per tutto questo tempo. Due, scrivo tutti i post e curo personalmente il blog ma non ho mai censurato nessuno. Tre, sarò contento di ospitare tutti i tuoi commenti in contrasto con quelli di chicchessia. Quello di replica è un tuo sacrosanto diritto che mi farà piacere rispettare sempre
Scritto da Giuseppe Adamoli il 18/9/2011 alle 16:11
No, signor adamoli, con il suo commento di oggi delle 15.54 lei ha dato ragioni a noi quando dicevamo che il signor valmaggia scrive ai suoi comandi. Doveva scrivergli in privato mentre così, che magra. Davide Ennam
Scritto da Claudio Ennam il 18/9/2011 alle 16:45
Opportuna questa riflessione. Sono incerta ma mi aiuta a capire di più. Sulle famiglie irregolari qualcosa bisogna fare.
Scritto da Cittadina cattolica il 18/9/2011 alle 17:09
@Mafalda, perchè non li obblighiamo tutti a sposarsi? Così abbiamo risolto tutti i problemi.
Scritto da Luigi Manfrini il 18/9/2011 alle 18:05
In un Paese civile il registro delle "unioni di fatto" dovrebbe essere obbligatorio come lo sono i registri di nascita, di matrimonio e di morte. E' vero che una legge al riguardo non esiste, però quella che c'è non impedisce ai sindaci di istituirli, anche per consentire a questi cittadini di poter accedere ai servizi in favore della unità familiari.
Scritto da Ravani il 18/9/2011 alle 18:39
Un ragazzo ha scritto su un muro: “Ti amerò per sempre … e oltre”. In modo ingenuo ha descritto un mondo dove non ci sono più certezze, non solo quelle materiali, esterne (il lavoro, un progetto di vita, la stessa sostenibilità ecologica del pianeta), ma soprattutto le sicurezze interiori che orientano la nostra vita. In un mondo incerto perdono di significato i valori, i principi, le tradizioni che sino a qualche tempo fa ci consentivano di gestire con equilibrio i sentimenti e i comportamenti e, per conseguenza, le interazioni con gli altri. Oggi si vive nel presente, in una realtà percepita come non stabile e provvisoria , le scelte diventano difficili, poco meditate, non più sostenute da una “attrezzatura” che nessuna istituzione umana riesce più a darci. Messa di fronte a una molteplicità di scelte sinora inimmaginabili (scelta di relazioni intime, di carriera, di valori religiosi e politici) la persona patisce il fenomeno della “relativizzazione” tramite il quale lo “status” dell’individuo si è indebolito, in qualche caso sino a mettere in forse la propria identità. La visione relativistica sembra essere diventata la condizione per poter sopravvivere; non si limita alla religione ma coinvolge anche la morale. Non esistendo più un unico sistema etico universalmente valido, i valori e i comportamenti umani sono diventati soggettivi e la storia non è più plasmata dall’esperienza di una moltitudine di persone sicché la vita pubblica non ha più una relazione con la morale; le norme che tengono insieme la società sono state svuotate e hanno minato la fiducia sulla reciprocità dei comportamenti umani. E’ inutile recriminare, i legami stabili sono risultati sfibrati dalle molteplici difficoltà di trovare un ancoraggio stabile alle nostre esistenze. Contano molto le intenzioni: più che ad aridità, ad egoismi, al rifiuto della responsabilità, molte situazioni, probabilmente la gran parte, sono dovute a fragilità umana. Per i credenti non c’è dubbio che queste condizioni , anche quelle irreversibili, non sono estranee al progetto di amore di Gesù la cui promessa redenzione riguarda tutti e tutto; nel Vangelo insieme all’indicazione della verità dei principi c’è sempre l’assicurazione della misericordia divina che è infinita. Anche chi si trova in questi situazioni difficili fa sempre parte del “piccolo gregge” a cui il “buon pastore” ha assicurato la salvezza. Su questi temi nella Chiesa è in atto un profondo ripensamento che darà i suoi frutti. I cristiani però non devono mai disperare perché è Cristo che salva. Il punto di vista laico come noto è diverso; si pensa che tali situazioni per risolversi debbano preliminarmente trovare una definizione giuridica: di qui la richiesta del riconoscimento delle coppie di fatto, anche di quelle omosessuali perché il sesso è divenuto pure esso una opzione. Ma anche i laici devono riflettere, evitare i dogmatismi religiosi, lasciarsi andare al dubbio più che affidarsi a improbabili certezze. Occorre soffermarsi sul dato storico e umano che quelle istituzioni che si vogliono mettere in discussione (matrimonio, famiglia, associazioni, partiti) non adempiono soltanto a compiti funzionali ma trasmettono valori e norme che danno direzione e sicurezza alle nostre azioni e interazioni. Una società che rinuncia progressivamente ai propri valori e ai propri principi è votata al nichilismo e alla decadenza. Occorre un approccio innovativo. Perché non partire dai bisogni concreti (di sostegno, di aiuto, di comprensione, soprattutto di stima) anziché dalle definizioni giuridiche? Quale problema pratico si risolve trasformando l’istituto del matrimonio in una unione provvisoria di “gender”? Che cosa impedisce alla comunità di sostenere con efficacia situazioni obiettive a prescindere dalle condizioni giuridiche degli interessati ? Tutto questo in una società aperta che riconosce a tutti i diritti umani individuali e quelli di cittadinanza.
Scritto da Camillo Massimo Fiori il 18/9/2011 alle 18:39
Conosco un paio di coppie di cattolici praticanti che sperano che alle parole di Pisapia e Glogia Guida (ex presidente Casa della Carità) seguano i fatti. Non sanno bene che cosa significherà per loro il registro delle unioni civili ma lo aspettano con ansia., come un riconoscimento del loro status che vorrebbero ma non possono superare. Per me è stata una testimonianza che mi ha fatto abbandonare ogni esitazione.
Scritto da Il pirata il 18/9/2011 alle 19:10
Non si preoccupi @G.S., libertaria sono nata, libertaria morirò. Invece, qualche statistica dei cd. “libertari” si può già elaborare leggendo i commenti di questo post. Attualmente sono presenti 18 commenti ed il mio è l’unico nel quale si auspica una disposizione che normi il matrimonio fra persone del medesimo genere: uomo con uomo; donna con donna. Nessuna altra voce si è levata sinora a favore (e nutro dubbi possa fare ancora capolino). E tanto meno si è sfiorato l’argomento per dirsi contrari. E’ un tabù. Nel moderno e democratico Pd, il matrimonio fra omosessuali rimane un tabù. Sì, @G.S., libertà, la libertà dell’assunzione di responsabilità che dovrebbe vedere le coppie recarsi davanti ad un prete o ad un sindaco (o suo delegato) per suggellare il libero desiderio e la libera convinzione di rimanere insieme. Ovviamente, non sto difendendo la mia scelta personale. Riporto, a questo scopo, un esempio. Una mia amica che vive a Bologna, insegnante precaria di scuole superiori, pur avendo il compagno, all’anagrafe ha deciso di risultare “single con figlio”, in modo da fruire di alcune agevolazioni che le hanno consentito, con maggiore comodità, di iscrivere il figlio all’asilo nido (il bimbo ha solo un anno). “Forse non lo sai ma pure questo è amore …” cantava Vecchioni in “Stranamore” …
Scritto da Mafalda il 18/9/2011 alle 20:50
@Camillo Massimo Fiori, premetto che la leggo sempre volentieri anche se è sempre un pò lungo. Non mi permetto di contestare il suo punto di vista perchè non ho la sua cultura. A me pare che l'educazione civica e civile la devono produrre la Chiesa, le scuole di formazione, le associazioni che fanno cultura mentre le istituzioni devono rispondere ai bisogni dei cittadini. Se un bisogno di assistenza e di aiuto c'è, il comune fa bene a darsi da fare per soddisfarlo con qualche mezzo di conoscenza e registrazione.
Scritto da Giustino F. il 18/9/2011 alle 21:46
@Camillo Massimo Fiori - Prendo la coda del tuo intervento. Sulla fede religiosa non ho nulla da aggiungere o da obiettare. E' un dono che non tutti hanno, anzi, mentre le istituzioni devono rapportarsi a tutti i cittadini. Io considero il registro delle “Unioni di fatto” come un semplice strumento giuridico-formale - indispensabile per evitare errori, favoritismi, omissioni - attraverso il quale erogare i servizi a vantaggio delle convivenze stabili con o senza figli. Si dice spesso “la famiglia al centro”. D’accordo ma quale famiglia? Solo quella fondata sul matrimonio che rappresenta una minoranza in larghe parti d’Italia? Non penso sia giusto ignorare la richiesta di aiuto che si alza forte dalle famiglie che non sono in regola con il matrimonio. Quali sono queste famiglie e come evitare abusi e furbizie? Da qui il registro. “Perché non vi sposate civilmente?” mi è capitato di domandare ad un conoscente. Qualche minuto dopo ho capito che avevo fatto una domanda idiota.
Scritto da Giuseppe Adamoli il 18/9/2011 alle 22:39
Potrà sembrare strano ma per quanto riguarda il matrimonio la mia posizione è tradizionalista. Il matrimonio religioso o civile che sia tutela in maniera migliore le donne e soprattutto i bambini. Lo so che la parola tutela, se riferita alle donne, non sembra adeguata visto che viviamo in un’epoca in cui si ciancia tanto di parità, ma pari non siamo né economicamente né per emancipazione e anche la cultura generale del Paese per quanto riguarda questo aspetto lascia molto a desiderare. La povertà nell’Italia di oggi (e di ieri) è femmina, in gran parte giovani donne con figli a carico. Un matrimonio regolare è un’assunzione di responsabilità da entrambe le parti e una garanzia maggiore per i figli che verranno. Nulla da eccepire se anziani convivono senza unione civile pur di non perdere la pensione, ma ai divorziati vanno garantiti tempi brevi e la possibilità di regolarizzare. E’ pur vero che non si può obbligare le persone a sposarsi, ma una legge delle Stato che parifichi matrimonio e convivenza può incentivare la scelta di quest’ultima, che sarà una scelta minimalista per forza di cose, a meno che non si intenda abolire del tutto il matrimonio. Ma a questo tipo di società “libera e uguale”che forse verrà avanti nel futuro non siamo attualmente assolutamente preparati. Sono favorevole invece ad un registro delle coppie di fatto presso i comuni e delle famiglie in genere senza distinzione tra omosessuali o meno. Io credo che più che di un matrimonio, le coppie omosessuali abbiano bisogno di rispetto ma la cosa mi trova favorevole purchè non si parli di adozioni. In quanto ai cattolici divorziati non vedo una legge dello Stato come possa sanare le contraddizioni della Chiesa che dovrebbe davvero venire incontro alle esigenze e alle scelte talvolta sofferte dei credenti. Ma detto questo mi taccio essendo io di tutt’altra parrocchia!!
Scritto da Maria Rossa il 18/9/2011 alle 23:52
Vedo che alcune donne in attesa del sole che splenderà rinunciano alle misure concrete che si possono attuare subito. Un bel esempio di concretezza femminile. Per loro fortuna non hanno sperimentato certe cose. Amaramente. Emanuela.
Scritto da Emanuela il 19/9/2011 alle 08:21
Il registro comunale è un palliativo ma anche le cure palliative a volte servono.
Scritto da Acanfora Giacomo il 19/9/2011 alle 08:35
Se l'Italia fosse un paese civile e moderno a non attaccato a vecchi dogmi, tra cui il cattolicesimo conservatore di molti vescovi (es.Bagnasco), il riconoscimento dei diritti delle coppie civili non sarebbe in discussione. Purtroppo questo è il bel paese, dove un premier che è in prima linea al family day, nella sua vita privata sappiamo tutti cosa combina. Lo stato e la costituzione sono LAICI quindi le restrizioni vecchie e conservatrici di una parte della chiesa sono una zavorra pesante.
Scritto da Simone Franceschetto il 19/9/2011 alle 09:25
1 ) Caro Giuseppe, le coppie di fatto sono una realtà. Ma forse anche un sintomo. Chi si separa non lo fa allegramente (come molti cattolici pensano). Le separazioni e i divorzi sono sempre motivo di sofferenza e difficoltà. Le altre unioni sono scelte personali e quindi da rispettare. Il registro istituito dal Comune di Milano non significa nulla. Se due persone (anche dello stesso stesso) vogliono vivere insieme lo possono fare e registrarsi nell'anagrafe comunale come unica famiglia....(segue)
Scritto da mauro prestinoni il 19/9/2011 alle 09:31
2 (segue) ..famiglia. Quindi il registro serve a poco. Serve sicuramente una buona legge. AM così dicendo ci tireremo addosso (lo dico da cattolico) le ire dei Vescovi (CEI), molto attenti a queste cose e molto meno attenti (ma favorevoli) a chi cerca di autoassolversi dei suoi errori, depenalizza il falso in bilancio, propina il consumismo ai bambini con le sue televisioni , per non parlare poi proprio di cosa passano le sue televisioni sul concetto di famiglia. E lasciamo perdere il resto!
Scritto da mauro prestinoni il 19/9/2011 alle 09:37
@Mauro Prestinoni, il registro comunale serve a poco, posso essere con te, ma in attesa della legge nazionale non facciamo niente? Le iniziative dei comuni servono anche come supporto concreto a persone con dei bisogni importanti.
Scritto da Luciana Binaghi il 19/9/2011 alle 10:27
Fino a 1o anni fa avrei parlato contro questi registri, adesso non più. Il nodo è cambiato anche quello più vicino o dentro di noi, purtroppo.
Scritto da Ex Pci Gallarate il 19/9/2011 alle 12:08
@luciana binaghi A cosa serve il registro comunale? Quali utilità anche in termini di supporto concreto? A me sembra solo una iniziativa politica per segnalare uno stato. Ma all'effetto pratico?
Scritto da mauro prestinoni il 19/9/2011 alle 12:37
Il problema non consiste nello stabilire dove stanno il presunto torto e la presunta ragione. Per questo c’è la democrazia che assegna la palma della vittoria a chi ha la maggioranza ma che non necessariamente risolve i problemi e spesso provoca fratture profonde. Il nocciolo del problema è capire anche le ragioni degli altri perché nella modernità pluralista ci saranno sempre dei conflitti di soggettività anche più dirompenti di questo ( I bambini che muoiono di fame in Africa e quelli che muoiono di aborto in Occidente sono due problemi diversi o la stessa faccia di un unico problema? E’ lecito sacrificare la libertà per promuovere le ragioni della sicurezza? Meglio vivere ricchi e “inquinati” o più poveri ma più felici?… E via di seguito). Pensare che la Chiesa e una parte cospicua della società italiana avversino la proposta legislazione familiare per oscurantismo, malafede, egoismo, dogmatismo e insensibilità alla condizione umana è una grossolana falsificazione. Credere che i laici “progressisti” abbiano in mano l’arma risolutiva per risolvere tutti i problemi morali (di quelli materiali non si interessano più tanto) è una puerile illusione. La riflessione e il dialogo sono le uniche condizioni per realizzare quella “contaminazione cognitiva” (si chiama proprio così!) che molti auspicano, a cominciare dalla politica. Ma che sconforto vivere in un Paese dove puoi dire quello che vuoi ma, stringendo, ciò che realmente conta è rispondere all’unica domanda: “Tu da che parte stai?”.
Scritto da Cmf. il 19/9/2011 alle 12:38
Affronto il tema solo da un punto di vista giuridico, tralasciando ulteriori implicazioni. Concordo sull’istituzione dei registri per normare la situazione delle coppie omosessuali cui la legislazione ad oggi non riserva alcuna tutela, né prescrive alcun dovere. Diversamente, sono piuttosto perplesso davanti alla richiesta dei registri per le coppie eterosessuali. Perché ? In sintesi perché non capisco la ragione per cui lo stesso fenomeno (la convivenza uomo – donna) debba essere normata da due istituti giuridici diversi (il matrimonio e un'altra cosa). Una domanda vorrei porre a chi è favorevole: quest’altro istituto in cosa si differenzierebbe giuridicamente dal matrimonio ?
Scritto da Mattia il 19/9/2011 alle 12:43
Prendo spunto da @Mattia per dare un parere anche su altri commenti. Personalmente non mi pongo nemmeno il problema se non sia meglio il matrimonio rispetto alle unioni civili. Credo che pochissimi se lo pongano. Il registro comunale, suffragato o no da una legge dello Stato, non è un surrogato del matrimonio. Da questo punto di vista sono anch’io tradizionalista come @Maria Rossa. Non sono un esperto ma parlo di queste cose perché sono fatti di vita importanti, spesso molto amari con una scaturigine dolorosa. Dal punto di vista giuridico le differenze con il matrimonio, religioso o civile che sia, sono enormi, basti pensare al problema dell’eredità, del cognome dei figli e così via. Mi pongo solo la questione della fruizione di alcune servizi, ma anche dell’assistenza sanitaria e ospedaliera nelle fasi di emergenza quando è necessario il supporto di un famigliare. C’è una casistica impietosa che parla da sé e che ci interroga civilmente.
Scritto da Giuseppe Adamoli il 19/9/2011 alle 16:33
E' una bella contraddizione quella di non volere vincoli matrimoniali ma di chiedere garanzie. Non si vuole il matrimonio ma si vogliono altri tipi di vincoli. Perchè mai questo? Io non sono rigidamente un difensore del matrimonio, anche perchè i tempi stanno cambiando, però la richiesta di regolarizzare le unioni di fatto mi sembra una ambiguità che non capisco.
Scritto da Ex democristiano il 19/9/2011 alle 16:49
Caro Giuseppe, parto dal basso del tuo ultimo intervento, svelando qualcosa di me, nonostante la mia riservatezza. Scrivi: “Mi pongo solo la questione della fruizione di alcune servizi, ma anche dell’assistenza sanitaria e ospedaliera nelle fasi di emergenza quando è necessario il supporto di un famigliare”. Provato e sperimentato, mio malgrado: quando il famigliare sei solo tu o, in alternativa, un’altra sola persona piuttosto anziana e magari pure di sesso maschile (quindi più in difficoltà se si tratta di assistenza a malati), i sanitari e la sanità non stanno a guardare se hai la fede al dito o l’iscrizione a qualsivoglia registro: tu ti occupi del tuo malato, anche se non vi lega ufficialmente niente. Punto e stop. E ci mancherebbe altro! Non oso pensare a una situazione in cui un cittadino si trovi ad aver bisogno di assistenza continua o magari non sia neanche in grado di comunicare con l’esterno, tanto grave è la sua situazione, e la sanità negasse all’unica persona che può intervenire di farlo perché non vincolata al paziente in nessun modo. D’accordo che siamo nel terzo mondo berlusconiano, ma non così. Quindi, sulla mia pelle, ho verificato la reale importanza di un legame sancito più o meno giuridicamente: nel mio caso è stata nulla. Ma c’è tutto un altro mondo di ambiti in cui ogni giorno dobbiamo arrabattarci e che mettono paletti burocratici di ogni genere. Perciò, chi vuole regolarizzare l’esistenza di una coppia almeno a questi livelli e senza i vincoli stretti di un matrimonio (civile o religioso che sia), è giusto che abbia uno strumento a disposizione. Per il resto, sono per la libertà assoluta di scelta. Una coppia è solida se lo vuole. Non per una presunta imposizione di qualsivoglia genere.
Scritto da Laura S. il 19/9/2011 alle 18:11
Un'ultima osservazione...Bisognerebbe fare molta attenzione quando si chiede allo Stato di regolamentare nei campi della morale e dell'etica, dati i malagoverni che ci ritroviamo. Una volta, ministra della sanità la cattolicissima Bindi, tra le pratiche della fecondazione assistita era ammessa anche quella eterologa, cioè con il seme di donatore estraneo alla coppia. Poi si è voluto normare credendo di apportare maggiori controlli e miglioramenti (ah!Marida Bolognesi!)…ora in questo paese oscurantista le coppie che vogliono (debbono) usufruire della fecondazione eterologa sono costrette ad emigrare all’estero.Ma che Paese di ipocriti
Scritto da Maria Rossa il 20/9/2011 alle 00:57
@Laura S. scrive: “chi vuole regolarizzare l’esistenza di una coppia senza i vincoli stretti di un matrimonio (civile o religioso che sia), è giusto che abbia uno strumento a disposizione”. Cos’è questo se non il diritto à la carte, come il menù di un ristorante ?
Scritto da Mattia il 20/9/2011 alle 08:49
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