Politica, istituzioni e territorio. Dialogo oltre i partiti
Giuseppe Adamoli   adamoli1@alice.it
inserito il 3/2/2013 alle 16:46

 
Siamo inondati da statistiche quasi sempre sconsolanti che non si vorrebbero leggere ed ascoltare. L’Istat è una fonte inesauribile di forti preoccupazioni che giornali e telegiornali commentano ed amplificano.
Tutto ciò dovrebbe renderci consapevoli che alle elezioni  serve una svolta politica e culturale profonda. Nei giorni scorsi mi ha però colpito la sottovalutazione dei media rispetto ai dati relativi alle università italiane.
In dieci anni c’è stato un calo di 58.000 immatricolazioni, come se fosse scomparsa l’intera Statale di Milano.
Secondo l’Ocse siamo al 34esimo posto su 36 Paesi in fatto di numero di laureati.
Abbiamo molto meno dottorandi della media Ue. In soli sei anni il numero dei docenti si è ridotto del 22%.
Forse l’unico dato positivo è la scomparsa di molti corsi di laurea e corsi specialistici che producevano laureati con aspirazioni irrealistiche per il nostro mercato del lavoro.
Parlar male della riforma Gelmini (e delle precedenti riforme, come quella che ha introdotto la formula del 3 + 2) è fin troppo facile. E’ però urgente trasformare in proposte questo grido d’allarme.
Ai tempi della prima campagna elettorale di Prodi uno dei suoi “slogan” preferiti era: “Ho tre priorità: scuola , scuola, scuola”.
Oggi la situazione è diversa e Bersani giustamente dice “Lavoro, lavoro, lavoro”.
Penso che le due priorità siano da saldare e coniugare insieme

Commenti dei lettori: 28 commenti -
La situazione nella scuola e nell'università è serissima. Molti giovani scappano per la difficoltà di trovare un'occupazione adeguata dopo anni di sacrifici. La relazione scuola-lavoro è un punto critico da risolvere senza bacchetta magica e con tanta determinazione.
Scritto da G.G. il 3/2/2013 alle 18:16
questi dati sono una risposta chiara a chi dice che in Italia ci sono troppi laureati e bisogna spingere i giovani verso percorsi professionalizzanti. Un paese che non investe nella conoscenza ha poco futuro.
Scritto da Rodolfo il 3/2/2013 alle 19:08
la riforma dell'università richiede scelte radicali e impopolari: chiudere gli atenei inutili e di scarsa qualità; aumentare le rette (altrimenti non ce la si fa) ma introdurre uno schema veramente meritocratico e efficiente di assegnazione delle borse di studio; applicare meccanismi di valutazione a tutto campo con un sistema efficace di sanzioni positive e negative. Ci sarà qualcuno capace di muoversi in questa direzione sfidando l'impopolarità? Purtroppo ne dubito.
Scritto da Alfred il 3/2/2013 alle 19:22
Penso che le problematiche della Scuola vadano affrontate da persone competenti,docenti,uomini di cultura,imprenditori,ecc.oltre che con l'ascolto dei giovani di diverse provenienze sociali.La Politica seria deve poi fare una sintesi,anche per conciliare la scuola col mondo del lavoro e favorire l'inserimento dei giovani in esso dopo la fine del corso di studi.Occorre una programmazione nelle sue varie articolazioni,dalle Elementari alle Universita',favorire il merito e non l'appartenen.politica
Scritto da giovanni dotti il 3/2/2013 alle 20:51
Caro Giuseppe, molto opportunamente hai posto al nostro dibattito un tema assolutamente prioritario, quale quello della scuola, cioè della formazione umana e professionale dei nostri ragazzi. Un tema che nella campagna elettorale, dominata sempre più dalla sguaiata aggressività del centrodestra, non controbattuta adeguatamente da noi, non esiste nel modo più assoluto. Eppure i problemi della scuola sono tnumerosi e urgenti, da quello delle strutture spesso fatiscenti e fuori delle norme di sicurezza, agli strumenti didattici carenti, agli insegnanti sottostimati socialmente ed economicamente, eppure impegnati, nella maggior parte, con dedizione e coraggio in un compito tutt'altro che semplice. Senza dimenticare i tagli al bilancio dell'istruzione, soprattutto quella pubblica. Ce n'è insomma di materiale su cui discutere e parlare.
Scritto da mariuccio bianchi il 3/2/2013 alle 22:49
A cosa serve l'università se poi da laureato non trovi lavoro?
Scritto da Paolaccio il 4/2/2013 alle 08:23
Il problema del calo iscrizioni è anche economico. Mantenere un figlio all'Università è costoso e le famiglie oggi fanno fatica a riuscire a pagare le rette, i libri e le trasferte in treno o in pullman. Anche non rientrando nelle fasce alte di reddito e iscrivendosi ad atenei statali non troppo lontani da casa, occorre mettere in preventivo almeno 400/500 euro al mese. Vuol dire 25mila euro in 5 anni, che al giorno d’oggi pesano anche al ceto medio. E se i figli sono due ….
Scritto da Emanuela Crivellaro il 4/2/2013 alle 08:57
@Adamoli, Si sfoglia il giornale e si leggono articoli tipo “In Italia mancano ingegneri” oppure “l’industria è carente di laureati” ciò farebbe supporre che i neolaureati dovrebbero essere fortemente contesi dall’industria. Poi si gira pagina e, dall’articolo inserito, si apprende che “un laureato impiega 5 anni per trovare un impiego”. I dati che motivano questi articoli sono forniti dall’Istat. E’ forse l’Istat che commette un macroscopico errore di valutazione? Non direi proprio. Si da il caso che rispetto alla media europea, l’industria italiana grande, media, piccola, è fortemente carente di laureati. Soprattutto nelle realtà produttive medio piccole non è sentita la necessità di potenziare la propria dirigenza inserendo figure di laureati. I titolari, spesso con preparazioni scolastiche elementari o poco più, considerano un inutile spreco di soldi l’assunzione di laureti. Non comprendono che è proprio dalla preparazione culturale di questi giovani che possono emergere idee nuove e progetti rivoluzionari a esclusivo beneficio dell’azienda nella quale operano. I preconcetti sono duri a morire. Ritengo che Confindustria e Confartigianato dovrebbero sensibilizzare i propri iscritti convincendoli che l’assunzione di laureati, è decisamente il migliore investimento per il futuro delle loro aziende . Ovviamente questa è la mia opinabile opinione.
Scritto da Ernesto Alberichi il 4/2/2013 alle 10:17
Una laconica quanto amara considerazione: nel corso degli anni si è confuso il "diritto allo studio" col diritto al titolo di studio.
Scritto da Angelo Eberli il 4/2/2013 alle 13:55
Troppo peso al titolo di laurea e troppo poco ai corsi di studio professionalizzanti. Da qui le imprese che chiedono laureati che non trovano e ragazzi laureati che non hanno sbocchi professionali adeguati. Questa è una priorità indiscutibile.
Scritto da Lorenzo L. il 4/2/2013 alle 14:30
Per trent'anni parlare di scuola ha significato parlare di stipendi degli insegnanti (non importa se bassi, basta solo che siano tutti uguali) e di diritto al titolo di studio e non allo studio. Risultati: scuole trasformate in diplomifici, piene di docenti bravi, ma demotivati, circondati da qualche collega lavativo, ma pagato quanto loro. La sinistra sessantottata faccia un doveroso mea culpa
Scritto da Ade il 4/2/2013 alle 15:30
@Mariuccio Bianchi ha messo il dito sulla piaga. I soldi per la scuola pubblica diminuiscono ogni anno però anche i sindacati si sono limitati a difendere gli insegnanti invece di fare propostre per lo sviluppo dei progetti di inntegrazione scuola-lavoro. Non è forse vero, Bianchi?
Scritto da Giovane ex rottamatore. il 4/2/2013 alle 16:29
Il tema vero è quello di ripensare alla scuola professionale. Il rapporto tra impresa e formazione tecnica è stato alla base del successo economico degli anni '60. Bisogna ripensare e ridisegnare questi persorsi formativi per renderli adeguati alla realtà di oggi.
Scritto da a.carugo il 4/2/2013 alle 17:54
Education, education, education. Il mantra di Tony Blair, oltre che di Romano Prodi.
Scritto da erica v il 4/2/2013 alle 18:16
Una domanda: quale è il rapporto tra il numero di iscrizioni all'Università e il numero di chi termina gli studi?
Scritto da ulderico monti il 4/2/2013 alle 19:41
Anche in Lombardia bisogna cambiare tutto, basta con i voucher e i buoni scuola per le istituzioni private. Il diritto allo studio deve premiare il merito con una sana politica delle borse per studiare anche all'estero. L'Erasmus non basta e i piccoli atenei sotto casa o si qualificano o è meglio che chiudano.
Scritto da Adams il 4/2/2013 alle 20:39
4 febbraio 1875 Nasce Cesare Battisti italiano socialista soldato martire Infranse alfin l'italico valore le forche e l'armi dell'Impiccatore! Fu sacro il patto antico, tra le schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro e Battisti!
Scritto da ulderico monti il 4/2/2013 alle 21:17
Non c'è da strupirsi molto, quando declina un Paese declina anche la scuola e viceversa. Bisogna dire che in condizioni difficilissime non c'è soltanto l'università ma tutto il sistema educativo, scolastico, culturale. Speriamo che Bersani riesca a cambiare rotta.
Scritto da Una Pd Brescia il 4/2/2013 alle 22:19
Quello che non funziona è la preselezione per l'università. Troppi giovani vengono avviati a dei corsi di laurea che poi non servono per l'industria e le attività produttive.
Scritto da M.F. il 5/2/2013 alle 09:00
Il problema in Italia e in Europa è mantenere un buon livello di produzione industriale e nel contempo generare imprese "creative". Servono più risorse economiche e più investimenti sull'intelligenza dei giovani. Il sistema scolastico-universitario è in difficoltà ma non è tutto malaccio. Occorre riprendere fiducia nella capacità di dire e di fare qualcosa di utile nel mondo d'oggi.
Scritto da Roseto senza rose il 5/2/2013 alle 09:37
Nelle ultime righe citi Bersani. A me sembra che stia dormendo. Tu che impressione hai?
Scritto da Ivan il 5/2/2013 alle 11:28
La riduzione del numero di iscrizioni all'Università deve essere correlato al numero degli abbandoni e al numero dei laureati. Leggo che il 33,6 % degli iscritti ai corsi di laurea è fuori corso, mentre il 17,3% non fa esami. Se così è, e se il minor numero di iscritti aumenta la ”produttività” (cioè chi si iscrive si laurea), la riduzione di iscrizioni non sarebbe negativa.
Scritto da ulderico monti il 5/2/2013 alle 11:59
Un Paese che distrugge la sua scuola non lo fa mai solo per soldi, perché le risorse mancano o i costi sono eccessivi. Un Paese che demolisce l’istruzione è già governato da quelli che della diffusione del sapere hanno solo da perdere. (Italo Calvino)
Scritto da ex insegnante il 5/2/2013 alle 14:01
@Ulderico Monti (19.41) - Ti riferisco il dato esatto che mi hanno appena trasmesso relativo alla Lombardia. Nel 2010 si è laureato il 57,6% degli iscritti 2006 al corso triennale. La percentuale di abbandono è stata del 18,8%. Trattandosi della regione più ricca d'Italia questi numeri dovrebbero far riflettere molto.
Scritto da Giuseppe Adamoli il 5/2/2013 alle 14:57
@Ivan (11.28) - Bersani sta conducendo una campagna elettorale sobria e solida. I fuochi d’artificio non sono nel suo bagaglio. Mi attendo che gli elettori premino chi fa proposte serie e non chi racconta balle. Spero capiscano che è molto meglio affidare il Paese ad una forza che si assuma la sua responsabilità per intero invece di costringerla a trattare difficili accordi con altri partiti. Allargare la condivisione del governo ad altre forze è più facile e produttivo se è un atto volontario e non una necessità impellente.
Scritto da Giuseppe Adamoli il 5/2/2013 alle 14:59
Il "Comitato per un solo ospedale a Varese" mi ha inviato una “lettera di precisazioni” in merito al “Ponte del Sorriso” pregandomi di pubblicarla. Avendo già dedicato un ampio e stimolante dibattito a questo tema il 28 gennaio accetto volentieri l’invito e la pubblico in coda a quel dibattito pronto ad ospitare ulteriori interventi.
Scritto da Giuseppe Adamoli il 5/2/2013 alle 15:20
Vorrei ribadire che non ho mai capito e accettato le lauree brevi e non ho mai capito e accettato il sistema dei crediti educativi per "saltare" esami facilitando il raggiungimento dell'obiettivo. Credo nella laurea conseguita dopo un corso di studi di durata normale. Anche la scuola, come tutte le istituzioni che vent'anni di malgoverno hanno distrutte, ha necessità di una rivisitazione e di una messa a punto per creare la nuova classe dirigente di un Paese sull'orlo del baratro.
Scritto da Sic Est il 5/2/2013 alle 16:24
Nel ringraziare@Adamoli per lo spazio che democraticam.concede al nostro intendo esternare la mia completa condivisione per quanto scrive@SicEst sulle lauree brevi. Sono uno schiaffo morale per tutti coloro che hanno sudato per conquistarsi una laurea vera, anche se e'doveroso ammettere che non e'tanto un diploma o una onorificenza che qualifica una persona quanto altre doti intellettuali e morali che sarebbe qui troppo lungo enumerare.
Scritto da giovanni dotti il 5/2/2013 alle 17:16
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