Politica, istituzioni e territorio. Dialogo oltre i partiti
Giuseppe Adamoli   adamoli1@alice.it
inserito il 5/9/2008 alle 17:02

Sono appena terminate le due grandi Convention americane. Da ciò che ho visto ed ascoltato su TV, giornali, Internet, sono cambiate poco rispetto alla prima alla quale ho partecipato ad Atlanta nel 1988 (Partito Democratico). Chi si sforza di paragonarle alle nostre assemblee nazionali di partito compie un tentativo inutile. Anche la kermesse che ha incoronato Walter Veltroni dopo le primarie, oppure le altre costruite per Silvio Berlusconi, sono sostanzialmente diverse da quelle americane. Ciò che impressiona negli USA è la narrazione del “sogno americano” attraverso le storie personali di Barack e Michelle Obama, di Ted Kennedy e di Joe Biden. Oppure di John McCain, di Rudy Giuliani, di Sarah Palin (Vice di McCain). E nel 1988 la Convention democratica era anche allora così, soltanto che i racconti riguardavano Michael Dukakis, il candidato dagli occhi tristi di origine greca, oppure Jesse Jackson, il “Reverendo Nero” sulle orme di Martin Luther King. Più che i discorsi programmatici sono le biografie, cioè i successi, ma anche i fallimenti e le traversie personali che tengono banco, che appassionano, che decidono il voto. Nelle Convention americane si sente scorrere la vita, tanto per Michelle Obama, quanto per Sarah Palin (nella foto) con i suoi cinque figli, di cui il più piccolo down e la maggiore (diciassette anni) incinta.
In fondo è il prorompere delle pulsioni vitali delle famiglie, dei gruppi sociali, delle comunità civili e religiose nel cuore della politica. La cosa strabiliante è che perfino Bill Gates e la moglie, che ho ascoltato direttamente in due consecutive assemblee nazionali di tutti gli Stati americani, chiamati a spiegare gli orizzonti della loro potente Fondazione sociale ed umanitaria, ne hanno parlato soprattutto attraverso le loro esperienze di vita e di lavoro, i loro enormi risultati, i tempi duri che pure hanno sofferto.
Molti europei continentali e moltissimi italiani sorridono con aria di superiorità di fronte a questi “spettacoli”. Noi amiamo di più i discorsi politici “alti e colti”. Ma abbiamo proprio ragione?

Categoria: Idee e proposte
Commenti dei lettori: 3 commenti -
Non è vero che noi amiamo i discorsi politici "alti e colti", questi semmai li amano i saccenti.Le masse americane o italianesi lasciano affascinare da discorsi retorici e sloganistici che promettono rapide soluzioni facili per problemi complessi e difficili. Pur non condi- videndo il modo americano di far politica, noi ora in Italia non la faccia- mo meglio di loro.
Scritto da Ravani il 5/9/2008 alle 19:00
Credo che le convention siano dei veri e propri show. Il loro valore è relativo alla mediatizzazione dlla politica. Però vi racconto una cosa: ieri sera un amico, pensionato della Franco Tosi, è andato a una riunione di partito, era tutto contento perché ha passione .... è tornato depresso "Non ho capito niente di quello che dicevano! Non hanno parlato un atimo di cose "reali" tutta "cucina".... mi sa che la passione gli è già passata e non basterà una convention a fargliela tornare.
Scritto da Spartacus il 5/9/2008 alle 22:38
Posso solo ricordare con amarezza all'illusione che provammo nel vedere piazza Repubblica che quasi non riusciva a contenere i la folla accorsa alla venuta di Veltroni. Un'amica mi disse: e se fossimo tutti noi già convinti quelli qui presenti? Il nome dell'amica è Letizia, ma potrebbe leggersi come Cassandra. e, infatti, piazze piene e urne...sappiamo come è andata AN EB 43
Scritto da Angelo Eberli il 6/9/2008 alle 15:22
Archivi:
Ultimi post:
(12/6/2014 - 09:06)
(10/6/2014 - 11:29)
(8/6/2014 - 19:04)
(5/6/2014 - 12:08)
(28/5/2014 - 08:54)
(27/5/2014 - 09:40)
(26/5/2014 - 08:10)
(25/5/2014 - 09:04)
(24/5/2014 - 12:08)
(22/5/2014 - 17:23)