Mi ha fatto molto pensare una lettera giuntami da un amico, Piero del Giudice, sulla vicenda jugoslava a trenta anni dalla morte di Tito. Avendo visitato più volte quelle terre quando erano unite e al centro di una politica mondiale di pace e avendo poi constatato anche di persona l’orrore degli eccidi e del macello etnico, ho ritenuto stimolante riportare sul blog odierno le riflessioni intense di un conoscitore e stimatore della ex-Jugoslavia.
“Di fronte al macello di uomini e di cose, di intelligenze individuali e psicologie collettive che è avvenuto e avviene in Jugoslavia, è occasione – effimera quand’anche - ripensare Tito nel trentesimo anno della sua morte, 4 maggio 1980.
La Jugoslavia è stata per me da giovane il paese dell’Europa mediterranea della vastità degli ambienti e contenitori di natura, della simbiosi con la natura. Idea semplice questa, quasi irriverente di fronte alla storia tragica della penisola balcanica, ma non meno vera. L’amore che ho portato a quelle terre e popoli è fatto di stupore e magia per la loro pluralità culturale e di coinvolgimento nella loro natura.
Tutto è stato distrutto. La grande riserva di pensiero e di umane esperienze, il polmone naturale dell’ Europa mediterranea, il paese leader della pace, il laboratorio della “terzo che si da” negli schieramenti mondiali, è stata macellato. Ripensare Tito a trenta anni dalla morte e dopo la distruzione totale della Jugoslavia è occasione per riflettere sul tentativo di realizzare una società di uguaglianza e di pluralismo culturale, privo della macina al collo della proprietà privata, nutrito di libera circolazione e simbiosi con la natura. Tutto è stato distrutto dal “ritorno di quelli che avevamo sconfitto nella lotta di Liberazione”. Conosco bene i limiti della esperienza socialista jugoslava, la sua inadeguatezza e le sue atrocità: ma nulla è paragonabile alle guerre etniche scatenate dal ritorno rancoroso e nutrito di violenza alla proprietà e il presente è di macerie e di povertà. Dentro la morsa crescente della crisi, il volgere delle culture di nuovo al fascismo e razzismo, ripensiamo Tito, cioè l’esperienza alta di un popolo, una prova di mutamento, il tentativo di mettere l’uomo al centro dello spazio e le merci sulla soglia”.