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inserito il 20/3/2009 alle 16:03
 
Intervista a Rose Busingye

Discutere del problema dell’Aids dalle redazioni dei giornali o dagli uffici politici delle varie istituzioni europee è una cosa; parlarne avendo negli occhi la situazione di decine di donne sieropositive, e dei loro figli che hanno preso il contagio, è tutt’altro affare. Rose Busingye dirige il Meeting Point di Kampala, un luogo di rinascita per 4 mila persone, tra malati e orfani, altrimenti condannate a vivere nel silenzio e nell’abbandono il loro destino di marchiate dall’Hiv.

In questo luogo di intensa umanità, le polemiche sull’uso del preservativo per abbattere il flagello dell’Aids giungono come un’eco lontana.

Rose, che effetto le fa sentire tante voci polemiche intorno a un problema col quale lei lotta ogni giorno?

Chi alimenta la polemica intorno alle dichiarazioni del Papa deve in realtà capire che il vero problema della diffusione dell’Aids non è il preservativo; parlare di questo significa fermarsi alle conseguenze e non andare mai all’origine del problema. Alla radice della diffusione dell’Hiv c’è un comportamento, c’è un modo di essere. E poi non dimentichiamo che la grande emergenza è prendersi cura delle tante persone che hanno già contratto la malattia, e per quelle il preservativo non serve.

Però resta il fatto che comunque si può fare qualcosa per evitare che il contagio si diffonda ulteriormente: in questo caso la prevenzione non è uno strumento utile?

Riporto un esempio, per far capire come veramente a volte non ci si rende conto della situazione in cui viviamo qui in Africa. Un po’ di tempo fa erano venuti alcuni giornalisti per fare un reportage sull’attività del Meeting Point: videro la condizione delle donne sieropositive che sono qui, e rimasero commossi. Decisero allora di rendersi utili, facendo un piccolo gesto per loro: regalarono alcune scatole di preservativi. Vedendo questo, una delle nostre donne, Jovine, li guardò e disse: «Mio marito sta morendo, e ho sei figli che tra poco saranno orfani: a cosa mi servono queste scatole che voi mi date?». L’emergenza di quella donna, e di tantissime altre come lei, è avere qualcuno che la guardi e le dica: «donna, non piangere!». È assurdo pensare di rispondere al suo bisogno con una scatola di preservativi, e l’assurdità è nel non vedere che l’uomo è amore, è affettività.

SEGUE

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