Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 4/12/2009 alle 07:42

Nel Consiglio regionale di martedì 1 dicembre sono state presentate due interrogazioni a risposta immediata sulla posizione della Giunta lombarda rispetto al decreto Ronchi e sulle conseguenze della decisione della Corte Costituzionale contro l’obbligo di separazione tra la gestione delle reti e l’erogazione del servizio idrico. La Regione Lombardia sta pagando, con un contenzioso continuo con lo Stato e i suoi Comuni, la protervia con cui ha cercato per tutta l’attuale legislatura di imporre un modello che favorisce la privatizzazione. Solo l’entrata in campo di 144 Sindaci e la posizione ferma tenuta dall’opposizione in Consiglio hanno portato al varo di una legge lombarda che aprisse alla sperimentazione dell’in house e alla proprietà e gestione pubblica dell’intero ciclo dell’acqua. La legge approvata all’unanimità dal Consiglio regionale apriva una strada praticabile all’unificazione di tutto il ciclo idrico, senza artificiali separazioni, e al ritorno del bene comune più prezioso nelle mani dei cittadini. La sentenza della Corte ha reso impossibile mantenere in vita i piani d’ambito di Pavia, Como, Cremona, Varese, Lecco, Milano e Monza, previsti fin dall’inizio con l’obbligo illegittimo di separazione delle fasi di gestione ed erogazione. Il Decreto del Governo ha bloccato le sperimentazioni in house. A fronte di ciò, l’assessore Buscemi ha solo balbettato, riconoscendo le difficoltà della Regione, ma rifiutandosi di assumere una presa di distanza dal governo. L’apertura manifestata nel sostenere un eventuale nuovo modello nazionale più vicino a quello adottato in Lombardia - così come proposto dall’Anci – risulta quindi più propagandistica e giustificativa della connivenza della Giunta di centrodestra con le pulsioni alla privatizzazione, che non risolutiva di un conflitto aperto con gli interessi dei cittadini.

Categoria: Lombardia
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