Tra la tarda mattinata e il primo pomeriggio del 9 ho assistito a un seminario promosso dall’inglese Oxfam e la francese COSC-EPT sul problema di come assicurare l’educazione per tutti in Africa. Ne ho tratto la riflessione che segue. Al momento dell’indipendenza, 50 anni fa, gli stati africani ebbero a disposizione tre leve per costruire un minimo di finanza pubblica onde erogare i servizi sociali di base necessari allo sviluppo, tra i quali l’educazione e la sanità pubbliche. La leva principale era data dal controllo pubblico sull’estrazione e il commercio delle materie prime destinate al mercato mondiale. La seconda, meno incisiva, era data dalla possibilità di esigere dalle ex potenze coloniali una sorta di riparazione per i danni patiti durante il loro secolare dominio. La terza, poco redditizia a medio termine e utile solo a condizione di una gestione draconiana della spesa, senza sprechi né clientelismi, era data dalla tassazione diretta, in misura limitata, dei redditi monetari e da quella indiretta sui consumi non primari. Tutte le leve furono dissipate. L’élite intellettuale e politica della prima ora – Lumumba, N’Kroumah, Olympio, per intenderci – fu massacrata prima ancora che potesse mettere mano a una politica di sviluppo. E altri leader storici, come Nyerere, Kenyatta, Sekou Touré, Houphouet-Boigny, si trasformarono presto o in autocrati o in conservatori. La possibilità di una formazione di base per tutti, specie nelle aree rurali, svanì.
I sistemi scolastici africani patiscono così gli stessi mali di mezzo secolo fa. L’accesso alla scuola primaria resta basso e discriminato per aree (a danno delle campagne), sesso (a danno delle donne) e condizione sociale (a danno dei poveri, la stragrande maggioranza nelle città come nelle campagne). Elusione e lavoro minorile restano comuni. Le poche scuole, spesso in edifici fatiscenti, funzionano con il sistema delle pluriclassi. In assenza di libri di testo (e i pochi che ci sono non sono aggiornati né fruibili didatticamente), quando persino una penna e un quaderno sono un lusso, lo studio risulta mnemonico, e privo di qualità. L’alfabetizzazione reale e il grado di literacy restano bassissimi. Le élites locali studiano in scuole straniere; le scuole private urbane offrono una chance alla classe media. Il resto non ha nulla, o briciole. Scuole superiori e università sono mediocri. L’assenza di una lingua nazionale scritta aggrava le cose. I pochi che completano un qualche ciclo di studi, anche minimo, in genere emigrano. La digitalizzazione dell’educazione è di là da venire. Infine, la qualità del corpo insegnante è di norma scadentissima, a causa di una formazione insoddisfacente e di salari troppo esigui.
Le Ong internazionali hanno tentato di rimediare a questo stato di cose, adoperandosi in favore della formazione di base per tutti. I risultati non sono però incoraggianti. Molti piccoli donatori aiutano ong che sprecano i loro introiti (la cooperazione è spesso un business come un altro), o si fanno attrarre da aiuti, come l’adozione a distanza, discutibili, impropri e quasi sempre inutili. Di qui la necessità di ripensare gli interventi, a partire dai bilanci e dalle strategie di cooperazione. Oggi si guarda soprattutto alla cooperazione tra locale e locale, a partnerships orizzontali tra comuni, province e regioni dei Nord e dei Sud, in cui le Ong fungono semplicemente da mediatori, organizzatori e controllori. Meno controllabili le relazioni dirette tra i governi centrali, e poco efficaci, troppo dispersive e di mera supplenza le iniziative bilaterali tra Ong dei Nord e dei Sud. Più facile pensare addirittura a cooperazioni tra scuole e scuole, magari a partire dalla presenza, nelle aule dei paesi dei Nord del mondo o dei paesi in forte sviluppo nei Sud, di immigrati da un territorio specifico, anche solo per far fronte alla necessità di materiale didattico. Quanto alla cooperazione tra stati, meglio pensare a patti di reciprocità che impegnino i paesi beneficiati a rispettare diversi parametri standard per la valutazione dei progetti dalla loro ideazione fino al loro compimento.