L’Insolvency ratio (Ir) misura il tasso di fallimenti ogni 10.000 imprese operative. Nel 2011, secondo i dati forniti dal Cerved, è fortemente aumentato, raggiungendo il numero impressionante di 33.000 bancarotte in Italia. Le aziende più colpite sono state le piccole e medie imprese. Dal punto di vista geografico, quasi un terzo dei 33mila fallimenti ha toccato aziende del Nord Ovest (più di 10mila), un quarto imprese meridionali (8.358), il 22% del Centro Italia (7.284) e il restante 21% del Nord Est.
La Lombardia – dove si è registrato un aumento di fallimenti del 30% nel 2011 ripetto al 2010) - è la regione italiana in cui si conta il numero maggiore di aziende fallite tra 2009 e 2011: più di 7mila, seguita a distanza dal Veneto (3.225) e dal Lazio (3.151). Sempre secondo il Cerved, per crack aziendali (si intendono aziende dove si applica la Cassa integrazione, escludendo quindi l’artigianato e la piccola impresa) dal 2009 si sono persi oltre 300mila posti di lavoro.
Molto è dovuto alla restrizione del credito da parte delle banche: è per quest’ultime assai più conveniente utilizzare l’iniezione di credito della Banca Europea al bassissimo tasso di interesse dell’1% per acquistare titoli di stato al 7%, che non prestare soldi ai piccoli imprenditori stretti dalla morsa della crisi. Alla fine, pagano sempre gli stessi: in questo caso per ben due volte i lavoratori e gli artigiani, che, oltre a fallimenti e perdita del posto, vengono tartassati dalla manovra Monti “Salvaitalia”. Dove sia finita l’equità è ancora da capire…
Sono un artigiano con l'acqua alla gola e ho piacere che qualcuno si occupi del nostro dramma e che non si faccia travolgere dalla retorica delle cose astratte e artefatte appositamente, per mettere in evidenza la fatica a tirare avanti di tutti i giorni della gente normale.
Scritto da Livio Bonetti il 30/1/2012 alle 13:00