Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 14/2/2009 alle 09:40

Bhopal è al centro dell’India, una città di oltre un milione di abitanti magnifica antica capitale del Madhya Pradesh. I suoi governanti hanno già dimenticato a fare dimenticare l’enorme tragedia di 25 anni fà: la più grande della storia industriale. L’onta forse più indelebile del capitalismo di rapina, che pretende perfino di nascondere le sue vittime. Siamo andati a visitare la Sambhavna Trust, una clinica di un’organizzazione di volontari che dispone le cure con medicine omeopatiche, sostiene le vertenze legali contro la multinazionale responsabile delle morti, raccoglie materiale d’archivio, diffonde medicinali a basso prezzo somministrati in un laboratorio spartano ma ben attrezzato, con cartelli come questo che illustrano alla popolazione locale i pericoli presenti e futuri a seguito del disastro.

Le immagini valgono più di qualsiasi commento

I preparati medicinali provengono da erbe che sono coltivate in una zona contigua a quella dell’ex-fabbrica. Gli scaffali dell’associazione sono zeppi degli articoli e delle testimonianze che riguardano la tragedia della notte del 1984. Abbiamo rintracciato anche giornali italiani di quel lontano Dicembre. Questo è il Politene con cui si pretende di tener separato il terreno dai rifiuti tossici che la fabbrica mai bonificata continua a riversare ancora oggi attraverso la dilavazione delle piogge. Lo Yoga e il sostegno psicologico e affettivo alle persone colpite cerca di fare da complemento alla totale mancanza di iniziativa delle autorità locali e al colpevole silenzio del resto del mondo che di Bhopal ha a lungo trattato nei convegni, scandalizzandosi farisaicamente.
Questo è un manifesto disegnato da ragazzi del movimento, che si riferisce ad una globalizzazione terribile e ad un futuro che invece potrebbe essere riscattato e riconciliato con la natura.
Da qui entriamo nella fabbrica abbandonata, allora di proprietà della Union Carbide e oggi appartenente alla Dow Chemicals e lasciamo che le immagini raccontino come il delitto continui tuttora, di fronte agli abitanti della popolarissima zona contigua, che si affacciano dal recinto a ridosso del quale si consuma la loro vita.
Ci sono i laboratori lasciati come erano all’istante della fuga di gas.
Le sostanze più letali sono ancora tutte lì.
Addirittura rimangono esposte per una tragica ironia le raccomandazioni per la sicurezza dei lavoratori.
Una feroce allusione a quanto è avvenuto davvero.
Più avanti si potrà osservare l’amianto che rivestiva l’impianto e che viene da questi ragazzi ancor oggi continuamente strappato dai tubi e dai serbatoi per venderlo o usarlo nelle proprie abitazioni.
E’ devastante l’impatto con tutto quanto è rimasto della fabbrica: questa rana-mostro è forse l’immagine più eclatante.
Questo è un modello in miniatura della fabbrica e questo è un casco di sicurezza abbandonato.
Questo è il reattore da cui è fuoriuscito il gas letale, l’unico pezzo ad essere stato smontato e che quasi fiorisce in mezzo a residui di amianto, a sacchi di pesticidi, mentre un cuore disegnato da innamorati entrati nel recinto proibito richiama alla vita nonostante la distesa desolata di rifiuti. Questo è il villaggio di Orya Basti a valle della fabbrica. Il Politene che spunta dal terreno dovrebbe proteggere dai rifiuti tossici, che invece percolano e danno luogo ad un laghetto di morte. Tra la popolazione di questo quartiere si è svolta l’inchiesta ripresa nel famosissimo libro di Dominique Lapierre e Javier Moro “Mezzanotte e cinque a Bhopal”. Questi ragazzi e ragazze, questi bimbi sorridenti con i loro cuccioli di animali esprimono davvero il segno di un intreccio tra la vita e la morte che a Bhopal è tutt’altro che concluso.
Aggiunte:
Il treno che passa tra la fabbrica e le baracche ricorda quello che nessuno era riuscito a fermare la notte della tragedia andando incontro alla morte ed è lo stesso che ha caricato oltre mille donne e attivisti per portarli al Forum Mondiale di Mumbay.
L’imponente indiano “dal sorriso splendente e dal calore nello sguardo” , come scrive Dominique La Pierre, si chiama Sathyu Sfrangi, capo dell’organizzazione che cura le vittime di Bhopal e che ha creato la clinica ginecologica che segue le donne prive di mezzi che ancora risentono degli effetti del disastro e che, quando danno alla luce bambini, temono di veder trasferito su di loro il marchio di una follia che hanno dovuto subire senza riparazione.

 

Categoria: Idee e proposte
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