Spazio aperto di presenza e sussidiarietà.
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inserito il 10/4/2008 alle 16:58

 

 

Non sempre le politiche nascono per un progetto di lungo termine. Talvolta esse vengono ideate e poste in essere per i motivi più svariati, salvo poi verificare che si sono realizzate scelte importanti per la collettività e innovative per l’intero sistema paese. È quanto è successo per il buono scuola, politica sussidiaria per eccellenza e attuata in Lombardia a partire dal 2000. Scopo primario di questo intervento era di creare un elemento di forte discontinuità rispetto alle scelte fino ad allora operate dallo Stato nel settore dell’istruzione, tutte caratterizzate dal fatto di essere concentrate sul sistema scolastico pubblico e di penalizzare, di conseguenza, i fornitori privati del bene istruzione. E, pertanto, il buono scuola è stata una delle prime realizzazioni del principio di sussidiarietà, poiché introduceva un elemento a servizio della libertà di scelta delle famiglie nell’individuare i loro alleati primari per l’educazione dei propri figli, cioè le scuole. Il buono scuola è stato istituito dalla l.r. n. 1/2000, ben prima, dunque, della legge costituzionale n. 3 del 2001, che ha ampliato le competenze regionali nel settore. Esso si fondava sulle competenze esistenti ante riforme costituzionali nel settore dell’assistenza scolastica: una politica di welfare, dunque, ma con un taglio particolare, che si sostanziava non nel soccorrere chi non aveva mezzi di sostentamento, ma nel ricreare condizioni paritarie dentro un sistema, quello scolastico, in cui alcuni produttori (le scuole pubbliche) godevano di un vantaggio competitivo non da poco, essendo gratuite, cioè finanziate dalla fiscalità generale - fiscalità a cui contribuivano (e ancora contribuiscono, in verità) anche coloro che invece sceglievano di non servirsi presso le scuole pubbliche, bensì presso quelle private pagando le rispettive e non lievi rette di frequenza. In altre parole, si è trattato di un provvedimento volto a incidere su un intero comparto del welfare state con l’intento (forse non esplicito fino in fondo) di incidere sulla offerta dei servizi scolastici tramite interventi destinati a sostenere la domanda (e quindi la libertà di scelta degli utenti).
Ora, anche a motivo della poca chiarezza che ogni provvedimento innovativo necessariamente porta con sé, nei confronti di questa politica lombarda molte sono state le posizioni critiche sia da parte dell’opinione pubblica sia da parte del mondo scientifico. Ed è per questo che è stato necessario intraprendere un lavoro di riflessione critica sul buono scuola, per non limitarsi a rispondere agli oppositori del sistema così instaurato opponendo ideologia a ideologia. Occorreva invece rispondere con i fatti, ed è per questo che si è ritenuto opportuno concentrare l’attenzione su questa politica, inserendosi nel dibattito.
Il lavoro compiuto, di cui si dà un primo conto in un volume apparso di recente per i tipi della Giuffrè, propone, a sette anni dall’attuazione di tale politica, non solo una valutazione degli impatti in termini quantitativi e qualitativi, ma una riflessione rispetto alla normale concezione dei servizi di pubblica utilità e ai principi fondanti un sistema di welfare nel mondo attuale.
Il percorso proposto si fonda, come primo step, su una rilettura della dottrina giuridica riguardante l’interpretazione dell’articolo 33 della nostra Costituzione, che permette di inquadrare chiaramente il dibattito sul buono scuola e in generale sulla concezione del sistema di istruzione italiano. Tale sistema viene confrontato con alcune politiche dell’istruzione attuate in alcuni paesi europei, nonché con la teoria classica dei buoni/vouchers elaborata da Milton Friedman. Sono questa lettura e questo confronto con la realtà internazionale che permettono di inquadrare in una visione più ampia la politica lombarda del buono scuola secondo l’ottica sopra messa in luce; emerge, infatti, che nel caso lombardo si ha una politica di diritto allo studio che si propone di incidere sull’intero sistema di produzione del bene istruzione, sostenendo un “mercato” dell’istruzione e promuovendo la libertà di scelta dei cittadini, l’incremento della concorrenza come fattore di miglioramento dell’efficacia dell’azione pubblica e dei servizi agli utenti e, infine, la parità tra sistemi pubblici e sistemi privati di produzione di beni sociali.
Sarebbe illusorio, d’altra parte, ritenere compiuto un simile percorso. Creare quasi mercati in un settore complesso come quello dell’istruzione richiede ben altri interventi che quelli realizzati con il buono, che pure non sono da poco se si considera che, ad esempio, si è accertato che i sussidi vanno per gran parte a famiglie con redditi medi, relativamente più numerose rispetto alla media nazionale, con una più alta incidenza di soggetti disabili al loro interno, mentre, nell’insieme, non si riscontra la diminuzione delle scuole private che invece è più tipica di altre regioni italiane. Il percorso di innovazione è da considerarsi infatti solo agli albori, ed è per questo che si è deciso di ideare una seconda tappa, per favorire l’azione educativa della persona in maniera sempre più efficace. È a questo scopo che la Lombardia ha elaborato un nuovo assetto degli strumenti di aiuto alle famiglie nell’ottica di una razionalizzazione delle risorse, sperimentando un’erogazione finanziaria diretta, denominata dote, che lasci alla persona una ancor più piena liberta di scelta.
La dote è un insieme di risorse in denaro e servizi destinato alla persona perché stabilisca, mantenga e rafforzi le relazioni che tengono vivo, sviluppano e valorizzavano al meglio il suo capitale umano. In particolare la dote scuola, una delle sue componenti, sostituisce con un contributo ex ante la pluralità dei benefici tradizionali (buono scuola, assegni, borse di studio e libri di testo), favorendo la libertà di scelta nella scuola paritaria, la permanenza nel sistema educativo pubblico e privato per le famiglie meno abbienti e promuovendo le eccellenze con una dote merito.

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Commenti dei lettori: 1 commento -
personalmente, apprezzo molto l'iniziativa e la condivido e ritengo che non possa essere criticata poichè, per analogia, così come ci sono strutture sanitarie private accreditate, presso le quali il cittadino può liberamente rivolgersi per ottenere prestazioni mediante il pagamento del solo ticket (la differenza è a carico del SSN), la stessa libertà ci deve essere nel campo dell'istruzione, indubbiamente servizio primario e fondamentale al pari di quello sanitario.
Scritto da Roberta Pramaggiore il 11/4/2008 alle 08:41
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