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inserito il 18/7/2008 alle 15:02

Il giudizio che noi tutti esprimiamo sulla sentenza che autorizza a non dar più da mangiare e da bere ad Eluana Englaro può essere, alla fine, niente di più che l’espressione di un’opinione personale. C’è chi è favore, e c’è chi è contro.
Ma le cose cambiano se il giudizio arriva da chi, per condizione personale, vive più da vicino il dramma di Eluana. Mario Melazzini, medico dalla carriera brillante, a partire dal 2002 ha incominciato a percepire che il suo corpo non rispondeva più alle sue sollecitazioni. Nel giro di un anno la diagnosi: sclerosi laterale amiotrofica. Ora anche lui, come Eluana, non può mangiare in modo autonomo ed è alimentato artificialmente, con una sonda endogastrica.
E se dice che la sentenza di Milano è profondamente ingiusta, merita quantomeno di essere ascoltato più di tanti opinionisti. 

Dottor Melazzini, qual è stata la sua reazione di fronte a questa sentenza dei giudici di Milano? 

Con tutto il rispetto per la magistratura, mi trovo in totale disaccordo sulle motivazioni che la Corte d’Appello di Milano ha emesso nei confronti della vicenda di Eluana Englaro. Per due motivi. Innanzitutto il corpo di Eluana viene definito semplicemente come vita biologica, e questa è una riduzione inammissibile. In secondo luogo perché la sentenza si rifà a qualcosa che in passato sarebbe stato detto da Eluana. Ma i ragazzi ventenni, si sa, vedono la propria vita in un determinato modo, e una visita ad un amico in un uno stato grave, di coma, può creare un grande impatto emotivo, e pensieri negativi in merito all’ipotesi di dover vivere dipendendo da uno strumento anche solo per respirare. Basare una sentenza solo su quello che qualcuno ha sentito dire non mi sembra una cosa accettabile. 

Eluana sembra però trovarsi in uno stato irreversibile, immutato da ben sedici anni: tenerla in vita non è anche questa una forma di accanimento? 

Eluana si trova in uno stato vegetativo permanente, non in coma irreversibile: per definire il coma irreversibile ci sono dei parametri strumentali e clinici ben precisi. Eluana è una persona che si trova in una determinata condizione, ed è alimentata e idratata artificialmente: definire questi supporti di sostegno vitale, quale l'idratazione e l'alimentazione, strumenti di accanimento terapeutico è una cosa che mi ferisce molto, come medico, come uomo, come malato.

Dunque secondo lei con questa sentenza si legittima inequivocabilmente un atto di eutanasia? 

Accompagnare a morte una persona totalmente stabile dal punto di vista clinico lo definisco esattamente un atto di eutanasia, in qualunque modo venga fatto. Omicidio è una parola che io non sono in grado di utilizzare, ma definirlo eutanasia è la realtà. Utilizzare il verbo «accompagnare», come fa la sentenza, significa ritenere che questa persona, essendo in un tale stadio di vita biologica, non sia in grado né di sentire, né di provare sensazioni. Ma forse bisognerebbe chiedersi che strumenti si hanno per giudicare che questa persona, privata dei liquidi, privata dell'alimentazione, possa non provare dolore anche fisico. Quindi non ci sono altri modi per definire questo atto se non legalizzazione dell'eutanasia. E questo mi fa molta paura.

SEGUE

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