I dati ISTAT dello scorso novembre relativi all'industria fanno registrare il peggior calo nel settore economico dal 1991 ad oggi: rispetto all'anno scorso la riduzione del fatturato per quanto riguarda il mercato interno è del 13%, mentre scende fino al 15% quella del mercato estero. Ancora più significativa, vicina al 30%, la flessione degli ordinativi. Una caduta a picco che si evince anche nell'analisi dei dati di queso inizio anno. I settori più in crisi quelli della produzione di mezzi di trasporto, con incidenze fortemente negative sull'industria automobilistica nazionale, quello dei mobili, delle macchine e degli apparecchi meccanici.
Una crisi che però il governo minimizza, tanto che il premier la definisce " un momento di flessione non così drammatico come tutti pensano". E trova anche la ricetta motivazionale ricordando agli italiani che "bisogna avere paura soltanto di avere troppa paura"
La crisi invece c'è e non è nè momentanea, nè congiunturale, ma deriva da una serie di problemi che si sono accumulati dal dopoguerra ad oggi, passando per la grande sfida della competitività globale nella quale, ad inizio del duemila, l'Italia è entrata a fatica. I suoi effetti sono concreti e solo una pesante miopia politica e sociale può nascondere che dietro i numeri della recessione ci sono picchi di disoccupazione, un lavoratore su dieci e due milioni di precari a rischio del posto di lavoro, famiglie in crisi profonda, piccole e medie imprese ed esercizi commerciali costretti a chiudere i battenti. Anche nella nostra provincia.