Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 26/5/2009 alle 09:00

Siamo vicini alle elezioni europee, ma qui da noi sembrano banalmente elezioni pro o contro Berlusconi: uno che in Europa non ha la considerazione proprio di nessuno. Forse ci danno un’idea del paradosso italiano le incursioni televisive di Cornacchione – un comico intelligente su “Che tempo che fa” – che si mostra in pubblico a Parigi, a Londra, a Berlino come un possibile candidato italiano alle elezioni europee. Dato che propone ricette berlusconiane sulla crisi agli allibiti cittadini di Europa, genera ovunque ilarità e scuotimenti di testa. Vorrei proporre allora ai lettori di Varesenews tre o quattro post alternati, per riportare l’attenzione all’Europa e tentare un esercizio: immaginare cioè una uscita dalla crisi basata su una nuova idea di Europa. Il dibattito nella sinistra europea è, a mio parere, un po’ vecchio, ancora tutto concentrato sulle ricette keynesiane che propugnano un mix di investimenti pubblici e di redistribuzione del reddito. Ma le cause della crisi stanno nel processo di accumulazione determinatosi con la finanziarizzazione dell’economia e la nuova divisione del lavoro mondiale (vedi vicenda Fiat). Non vedo quindi come si possa sperare di sostenere il potere d’acquisto dei cittadini europei e trasferire risorse dai profitti al lavoro in questo orizzonte di globalizzazione capitalistica. Sono convinto che il nodo sta anche nella finanza (e la moneta) ma non saranno certo i propositi di moralizzazione indicati da Tremonti a scalfire il problema. Ovviamente, ogni tentativo per ridistribuire il reddito e tutelare i risparmiatori, è di per sé cosa buona e giusta. Ma non è la risposta al problema della crisi. L’Italia, ad esempio, è il paese europeo meno interessato dalle vicende dei titoli spazzatura, eppure, come cerco da giorni di dimostrare in questo blog, risulta il più colpito dalla recessione: perché? Perché i titoli spazzatura sono soltanto la buccia di banana sui cui l’intero sistema economico-finanziario è scivolato. Le ragioni della crisi stanno prima e stanno oltre la momentanea crisi finanziaria attualmente in corso. Le ragioni della crisi stanno nel sistema economico americano-europeo che - grazie alle nuove tecnologie (internet e container) - ha trovato convenienza nel portare la produzione all’estero, verso i paesi emergenti dove era basso il costo del lavoro, finanziando gli squilibri commerciali con falsa moneta. Com’è noto, ad un certo punto il trucco è stato smascherato, perché i cittadini americani semplicemente non potevano più pagare il mutuo sulla casa. Scatenando in questo modo l’effetto domino dell’insolvenza e coinvolgendo l’intero gotha della finanza mondiale, con fabbriche che chiudono e persone che perdono il lavoro. E, quindi, persone che riducono i consumi, contribuendo ulteriormente in questo modo alla spirale recessiva. Stimolare la domanda in questo contesto di globalizzazione economica e finanziaria, significa portare fieno in cascina al capitale globale senza modificare le cause della crisi. Significa lavorare per mettere una pezza ad un sistema che era in crisi già prima del settembre 2008. Significa dare ossigeno al capitale globale proprio nel momento in cui deve fronteggiare una delle sue più profonde contraddizioni. Significa soprattutto, non guardare al futuro (la nave che affonda) limitandosi a tamponarne una falla.  Se il problema è la finanziarizzazione dell’economia, la dipendenza dai paesi emergenti per le materie prime e per i beni industriali (e per il dumping salariale), oltre che la dipendenza dai loro capitali per finanziare i nostri debiti, se tutto ciò è vero, occorrerebbe agire strutturalmente:

-                riducendo la nostra dipendenza dall’estero per le importazioni (di materie prime e di beni);
-                utilizzando i capitali europei per investire in Europa,
-                in particolare su produzioni che riducano il deficit agricolo, energetico, alimentare e di prodotti industriali.
 
Il punto è mettere al riparo l’economia europea dal dumping sociale e dalle strategie delle imprese transnazionali. Consentire all’Europa di sviluppare la propria economia senza dover più dipendere dai capitali americani e dai prodotti industriali dei paesi emergenti.
Significa fermare il WTO. Appena un paese sviluppa un embrione di stato sociale ed approva normative a tutela dell’ambiente, l’impresa multinazionale ha già pronte le valigie per spostarsi altrove. Significa imporre alle imprese multinazionali le regole del gioco europeo, senza cedere al ricatto occupazionale: la politica, specie quando si tratta di una potenza come l’Europa, se vuole ha tutti gli strumenti per rendere profittevoli gli insediamenti produttivi.
Ma, quando la Sinistra imparerà a gettare il cuore oltre l’ostacolo e a parlare in chiave continentale e non solo provincialmente nazionale, favorendo così lo strapotere di Forza Italia e Lega, propagandato dai media, ma fasullo per le persone in carne ed ossa? Vorrei sentire discutere di questo ai comizi per il 6 e 7 Giugno e non solo della lotta fratricida per arrivare alla soglia truffaldina del 4%, imposta dai due partiti maggiori, uno al governo e l’altro all’opposizione nel nostro piccolo cortile. Lo faranno i candidati che girano nelle nostre contrade? E’ questo il suggerimento che dò anche a Cordì, mio compagno di viaggio nel passato e in tempi recenti. Tornerò sull’argomento nei prossimi giorni.
 
 
Categoria: Idee e proposte
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