Depuratori e urbanizzazione nel bacino del Po
Osservando la mappa del bacino del Po, abbiamo a disposizione un dato preoccupante, che si riferisce alle acque di scarico, che, se non depurate, finiscono con l’inquinare in particolare l’Adriatico (ricordate le estati delle alghe?). I depuratori sono in gran parte collocati in Lombardia e, sembrerebbero, per numero, ottimali. Non è così. Mentre, giustamente, ci preoccupiamo dell’acqua che beviamo, continuiamo a trascurare le scorie che l’acqua si porta dietro, per gli insediamenti urbani e l’attività di produzione, consumo, agricoltura, allevamento. Per queste ultime due attività è evidente la quasi assenza di impianti tra Cremona e Mantova.
Complessivamente ci sono 6255 impianti di depurazione: il 2% ha una capacità di trattamento del 60%; il 60% tratta il 6% delle acque. Milano è tutt’ora la città che porta più problemi, anche perché è alla fine della catena dei fiumi che attraversano la zona prealpina. Il depuratore di Nosedo, costruito solo nel 2004, ha una capacità di trattamento equivalente a 1.250.000 persone. Non solo è insufficiente, ma, essendo un megaimpianto che produce 35 mila tonnellate di fanghi trasportati in un raggio di 40-60 Km dal depuratore, contamina il materiale dei cementifici e la terra dei campi dove vengono smaltiti. Queste note servono a mettere a fuoco il problema a valle dell’acqua che beviamo. Rimettere mano alla depurazione “a filiera corta” come si dice, cioè in maniera diffusa e laddove si produce l’inquinamento, produrrebbe, secondo uno studio dell’Università di Trieste, ottantamila nuovi posti di lavoro.
Il depuratore di Nosedo è un grande affare per i privati che lo gestiscono a maggioranza. In più i fanghi vengono riciclati nei materiali di costruzione che sono zeppi di metalli pesanti. Lei ha ragione, bisogna andare oltre l'acqua da bere.
Scritto da Andrea Corrado il 18/5/2012 alle 11:59
I comitati per l'acqua di Cremona sono consapevoli dello svaso che gi allevamenti comportano e stanno sollevando il problema di un consumo energetico e non più a perdere degli scarti delle lavorazioni e dei rifuti biolgici
Scritto da Manlio Rozza il 18/5/2012 alle 12:02
confesso di non essere ancora riuscito a capire cosa NON sia possibile mettere nei forni dei cementifici. Sulla filiera corta come la chiami spiegami come sia possibile attuarla se l'ATO o non c'è o non funziona. Metti che qualcuno, ad esempio il CCR, si disponibile a cedere il suo depuratore ai paesi limitrofi che spesso hanno impianti insufficenti od obsoleti, i risultati sono ampiamente visibili. Possiamo chiamarle STORIE DI ORDINARIA BUROCRAZIA? o altro, scusa il localismo del commento
Scritto da angelo m il 18/5/2012 alle 15:05