Idee e uomini non sono in vendita. Liberi e forti
Graziano Maffioli
inserito il 10/4/2008 alle 11:48

 

SpigheNel passato abbiamo commesso un grave errore. Abbiamo trascurato un settore importante della nostra economia: l’agricoltura. Un settore strategico, che ha sempre caratterizzato il nostro Paese e ha contribuito a farlo conoscere nel mondo. Si è trattato di uno sbaglio per vari fattori. Innanzitutto un forte settore agricolo e agro-alimentare è in grado di ricostituire un bacino occupazionale importante, non solo per il lavoro dei campi, ma per la qualificazione dei prodotti sulla filiera, per l’export e tutte le altre attività collegate. Ma non solo. I prezzi dei principali prodotti agricoli, (grano, riso, frutta, ortaggi…), negli ultimi anni, sono cresciuti drammaticamente. I motivi sono tanti. Lo sviluppo dei paesi del terzo mondo e della Cina. Il costo sempre più alto del petrolio che incide sul processo di trasformazione delle derrate e sul loro trasporto. La mancanza di infrastrutture.

Come rimediare? Sicuramente realizzando le infrastrutture che servono sia per le merci che per le persone, ma anche sviluppando il potenziale del mercato interno e locale. Questo, oltre a contribuire ad abbattere i prezzi dei prodotti, avrebbe anche un grande risvolto positivo dal punto di vista ambientale. È un principio che riguarda non la qualità del cibo, ma la qualità della vita: limitando il trasporto, si riducono emissioni e inquinamento.

Ma i possibili vantaggi non sono finiti. Rivolgendosi ai produttori vicini, si avrebbero più garanzie anche rispetto alla provenienza e quindi alla sicurezza. Attivare le economie locali significherebbe inoltre ridistribuire la ricchezza dov’è prodotta, mentre con le importazioni il valore aggiunto va nei paesi di provenienza. Ecco, questo è un modo ragionevole e tecnicamente fondato di restare competitivi senza ricorrere a misure improponibili ed estremiste come i dazi. È ciò che sta facendo persino un paese ultra-liberale come la Gran Bretagna, dove scuole e ospedali hanno adottato il “chilometro zero” come criterio nei bandi pubblici.

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