Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 19/1/2010 alle 07:37

Strano Paese l’Italia. Nelle due settimane del vertice di Copenhagen la stampa e le TV ci hanno ammonito del fatto che il cambiamento climatico fosse il problema da affrontare con più urgenza: a distanza di un mese chi ne parla più? D’altra parte, se la figura più mediaticamente esposta, il Presidente del Consiglio, sceglie un suo supermercato per riapparire con il viso integro dopo l’incidente di Milano e sacrifica il “partito dell’amore” sull’altare delle leggi ad personam, si capisce che i messaggi con cui governare sono rivolti da tutt’altra parte. Vorrei su questo blog giornaliero riflettere a un mese di distanza su quel che è successo in Danimarca, nell’appuntamento mondiale più frequentato della storia. "E' stato un fallimento" -  Questo il commento quasi unanime che ha frettolosamente messo una pietra sopra l'evento. La sensazione è che tutto sia stato semplificato nel solito gioco di accuse; anche la Prestigiacomo, nostro ministro per l'ambiente - inesistente al vertice al punto da essere trattenuta per due ore in coda senza essere riconosciuta – ha accusato gli USA e la Cina di aver affossato il vertice in cinque minuti. In realtà a Copenaghen è successo qualcosa di importante che interessa il sistema di relazioni e poteri a livello multilaterale e che non riguarda solo il clima, ma l'economia, il commercio e molto altro.
Chi aveva un minimo di conoscenza delle diverse posizioni mondiali, e non solo di quella europea, statunitense, o cinese, sapeva molto chiaramente che era assolutamente impossibile concludere un accordo vincolante. Per prima cosa Europa, Australia e Giappone volevano chiudere l'accordo di Kyoto, che per inciso è stato dato come in scadenza ma in realtà non lo è. Questo, ovviamente, perchè vogliono un nuovo accordo che coinvolga innanzitutto gli Stati Uniti e gli altri paesi emergenti. Obama, si è scritto abbondantemente, aveva un potere negoziale molto limitato, dovendo fare i conti in casa propria con un Congresso recalcitrante a modificare lo stile di vita americano. Ma il vero scoglio era e rimane quello del paesi non industrializzati che si oppongono alla fine del protocollo di Kyoto e contestano ai paesi industrializzati di fare troppo poco per ridurre le emissioni, dato che sono in debito e debbono mettersi a dieta, tenuto conto che da qui al 2020 la popolazione del sud del mondo raddoppierà mentre la nostra rimarra' costante. Così Brasile, India, Sud Africa e Cina ( i cosiddetti “Basic”) hanno fatto gruppo e hanno dettato legge, dicendo no ad un accordo che considerano non equilibrato. Pertanto, non sono stati gli USA a fare un accordo con la Cina e poi a proporlo al resto del mondo:  Obama è intervenuto alla riunione dei Basic senza essere invitato, cercando di evitare quella figuraccia che abbiamo fatto noi europei. Oggi sul tavolo rimane un accordo fra quattro paesi che il resto del mondo dovrebbe accettare entro il 1 febbraio 2010, un testo molto scarno che dice che sì mantenere l'aumento della temperatura media del pianeta sotto i due gradi centigradi è fondamentale, ma non stabilisce alcun impegno concreto. Inoltre prevede che ogni paese definisca l’obbiettivo autonomamente e lo condivida genericamente con gli altri e, infine,  promette 30 miliardi di dollari per assistere i PVS nei prossimi tre anni, ma senza dettagliare i donatori.
Ma che fare ora? La verità è che Copenhagen aveva un obiettivo irrealizzabile in un mondo che non crede nella cooperazione e nella condivisione degli oneri e dei benefici. Solo la fine del liberismo, che ha guidato anche culturalmente la fine del secolo scorso e continua a dominare le relazioni mondiali può salvare il pianeta, a cominciare dai Paesi ricchi che non possono salvarsi la coscienza e mettere la testa sottoterra, come l’Italietta irresponsabile del Cavaliere, che vive di espedienti e di paure anziché di progetti e di speranze. Se i paesi che hanno già stabilito dei limiti alle proprie emissioni con riferimento al 2020, li rispettassero, saremmo vicini a raggiungere l'obiettivo di limitare al 2020 il totale delle emissioni per non superare i 2 gradi. Detto in altre parole, se i paesi sviluppati lo vorranno non servirà alcun nuovo accordo. Tutto dipende dalla direzione in cui si muoveranno gli investimenti economici degli uomini al potere. Dai Berlusconi, dai Tremonti, dai Formigoni. E la palla torna anche a chi legge: da cosa vorranno coloro che votano.

Categoria: Idee e proposte
Commenti dei lettori: 4 commenti -
A Copenaghen nn e successo niente che ci interessi,caro Mario,
Scritto da Claudio il 19/1/2010 alle 09:57
Gentile Agostinelli purtroppo nella società in cui viviamo non interessa molto del futuro climatico del pianeta e ai politici che ci rappresentano, lo specchio della società, ancora meno.. toccherà ad ognuno di noi rimboccarci le maniche e modificare il nostro stile di vita in maniera più consapevole.
Scritto da curzio rosso il 19/1/2010 alle 11:26
Per la prima volta nella lunghissima storia del pianeta terra le trasformazioni ambientali e climatiche, non sono determinate da fattori "endogeni" ma dall'azione dell'uomo. il sistema economico e sociale dominante e i conseguenti stili di vita occidentali sono ormai incompatibili con la sopravvivenza del genere umano. C'è bisogno di un progetto di grande cambiamento che può passare anche attraverso le prossime scadenze elettorale. Purchè sappiamo scegliere bene le persone che voteremo.
Scritto da nicoletta il 19/1/2010 alle 14:17
Per le prossimeelezioni regionali bisogna portare la questione del clima al centro. Questo vuol dire che le liste devono farsi riconoscere anche e soprattutto su questo e avanzare proposte riconoscibili. Almeno la riduzione del 30% delle emissioni in Lombardia va perseguito con misure credibili e concrete.
Scritto da Luigi da Abbiate Guazzone il 19/1/2010 alle 16:02
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