Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 9/3/2010 alle 09:11

Un buon Capo di Stato deve conoscere a fondo il dna della propria Nazione per costruire una politica del cambiamento. E’questo l’unico modo per scongiurare la risacca delle promesse disattese e la conseguente delusione dell’elettorato. Lo ha imparato a proprie spese il presidente degli Stati Uniti, e premio Nobel per la Pace, Barack Obama. L’uomo del cambiamento, che a poco più di un anno dall’inizio del mandato presidenziale si presenta imbrigliato da una fitta rete di sconfitte politiche che ne appannano l’immagine e la credibilità. La versione ‘obamiana’ di riforma sanitaria Usa, una mediazione al ribasso avanzata dal presidente per sbloccare la legge rimasta incastrata tra le due versione inconciliabili della Camera e del Senato statunitensi, rappresenta, in questo senso, la fine di un ciclo. Nel testo del presidente svanisce, infatti, la famosa ‘opzione pubblica’ che avrebbe garantito una copertura pressoché universale del diritto alle cure mediche. A restare sul tavolo è un inconsistente obbligo per i cittadini americani di stipulare una polizza privata, tutt’al più con un incentivo federale. Un testo che si lascia definitivamente alle spalle la sfida di riformare in profondità l’iniquo sistema ospedaliero Usa, accontentandosi invece di allargare la copertura medica ad una nuova fetta di cittadini statunitensi. Così l’opinione pubblica scopre l’impossibilità al “cambiamento”, nonostante le promesse del “presidente dei sogni”. Ma il sistema lobbistico delle Assicurazioni private è parte imprescindibile del dna della nazione. Spostando lo sguardo oltreoceano, la ferita afghana continua a sanguinare senza sosta con 1000 soldati caduti nel 2009, quando una vittoria della coalizione militare anti-taliban, guidata dagli Stati Uniti, è distante anni luce dalla realtà delle cose. L’ondata di violenze scatenata delle truppe americane in Afghanistan, risponde alla precisa volontà del presidente Obama di chiudere una volta per tutte la partita con i talebani. Ma, al di là delle implicazioni morali di questa continua emorragia di vite umane, i risultati della new strategy della Casa Bianca al momento sono più che scadenti. Una politica estera, quella dell’Amministrazione democratica, che sembra aver perso su tutti i fronti il polso della situazione.A partire dalla questione iraniana, in merito alla quale continuano a circolare voci su una possibile soluzione militare contro Teheran, passando per il Medio Oriente, su cui Obama non ha saputo dire nulla di convincente, fino ai deteriorati rapporti con il gigante cinese. La destabilizzazione degli equilibri internazionali sembra essere un altro tassello del dna americano, a cui Obama non può o non vuole porre un rimedio radicale. Forse la partita che ha aperto congli umori profondi della nazione che l’ha eletto è troppo difficile o forse, speriamo, è ancora da giocare, ma il resto del mondo democratico e l’Europa in particolare non lo possono lasciare solo.

Commenti dei lettori: 2 commenti -
Io credo che tutte le partite sono ancora aperte e che le opzioni di fondo dell'ala obaniana nei democratici americani sia ancora da giocare su molti fronti. Certo occorre avere ben presente che oltre ai repubblicani in america esiste anche una vasta area dei gruppi dirigenti democratici che non hanno affatto digerito che obama sia diventato presidente. Come sempre, il cammino resta lungo e difficile per tutti e ovunque, ma penso che bisogna conservare l'incoraggiamento a obama
Scritto da robinews il 9/3/2010 alle 10:40
Purtroppo Obama, dopo i sogni e le speranze iniziali, ha mostrato al mondo i limiti della democrazia americana, una grande democrazia ma troppo piegata al sistema di potere..
Scritto da curzio rosso il 9/3/2010 alle 11:37
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