Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 27/10/2010 alle 09:30

Ho partecipato sabato scorso ad una sessione di Terra Madre a Torino dedicata all’Africa. Ho imparato moltissimo ed  ho misurato ancora una volta la nostra distanza dai problemi di un continente lasciato solo. Minacciati dalla domanda dei Paesi emergenti e dalla “fame” degli speculatori, i contadini africani stanno perdendo la loro terra. I Paesi importatori, le nazioni emergenti e gli speculatori internazionali stanno privando progressivamente gli africani dei campi fertili, acquistando, con la complicità dei governi locali, milioni di ettari coltivabili a prezzi stracciati. Nell’incontro, il presidente della ong Crocevia Antonio Onorati non sembra avere dubbi: “occorre ottenere al più presto una moratoria sugli acquisti di terreno da parte degli operatori stranieri”. Un obiettivo, ricorda, al centro dell’impegno delle organizzazioni sociali e contadine che, ha stabilito recentemente la Fao, potranno finalmente prendere parte ai negoziati con i governi di tutto il mondo per stabilire regole certe a tutela della sovranità alimentare. Nel solo 2009 in tutto il mondo circa 45 milioni di ettari di terreno coltivabile hanno cambiato di proprietà. Una cifra pari a una volta e mezzo la superficie dell’Italia.

 

Dice il presidente di Slow Food Carlo Petrini, che si tratta di una corsa senza freni all’accaparramento delle risorse che segue “una logica colonialista, imperialista e criminale”. “L’Africa non è il nostro orto – ribadisce Petrini – , è l’orto degli africani. L’Africa possiederebbe (o forse dovremmo dire “ospiterebbe”) almeno 700 milioni di ettari destinabili all’agricoltura. Di questi, tuttavia, appena il 7% riceve irrigazione e solo 4% è soggetto a una coltura di qualche genere. Il Continente, in altre parole, avrebbe a disposizione un potenziale agricolo spaventoso che, se da un lato stona clamorosamente con il persistente problema della fame, dall’altro alimenta i sogni di ricchezza dei Paesi importatori. I cinesi se ne sono già accorti visto che dal 2008 hanno iniziato ad importare cibo per far fronte a una domanda che il mercato interno, da solo, non è più in grado di soddisfare. L’India e i Paesi del Golfo hanno seguito a ruota investendo massicciamente in Africa dove la terra, è bene ricordarlo, costa pochissimo (non più di 500 dollari per ettaro, circa 1/20 del prezzo praticato in Europa).

 

Da almeno tre anni quello del land grabbing è diventato uno degli affari prediletti della grande finanza. Da un lato ci sono i fondi di investimento classici, a cominciare dai fondi pensione, che, scottati dalla tempesta della crisi e dalle pessime esperienze nella giungla dei titoli strutturati, non mancano ora di rifugiarsi in un business che considerano più stabile e sicuro. Dall’altro ci sono invece gli speculatori veri e propri che, dopo aver guadagnato miliardi di dollari con l’impennata dei prezzi dei cereali tra il 2007 e il 2008, contano di replicare ancora la scommessa vincente. A Terra Madre si è cercata una risposta che sostenga i contadini per rendere produttivi i loro terreni, diffondendo  anche nei villaggi isolati tecnologie energetiche rinnovabili, sementi non dipendenti dalle multinazionali, concimi animali.

 

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