Il paradosso della vittoria della Lega di Bignasca nel Canton Ticino sta nel fatto che le camice verdi originali, quelle a sud del confine, si rallegreranno per l’andata al governo a Bellinzona di un partito “fratello”, che ha però come programma il “fora di ball” dei varesini e dei comaschi, padroni a casa loro, ma emigranti senza diritti dieci chilometri più a Nord. Vero è che la terra è rotonda e il Nord è sempre relativo e comunque un pretesto utile solo per non dividere con nuovi arrivati una torta sempre più magra, ma cucinata grazie anche alle loro mani.

Aver sostituito la pancia alla politica fatta di confronto e rispetto, l’osteria ai luoghi della democrazia inclusiva, ha pagato fino ad ora e fino a che si tenevano i problemi del mondo fuori da un orticello fatto di slogan e paura e recintato di risentimento per respingere ogni giorno nuovi nemici. Ma è una linea che è alla frutta. Se ne accorge il geniale Maroni, che oggi ha bisogno di un’Europa solidale che lui e Borghezio hanno sempre osteggiato. Ne prende atto Bossi che alla fine di ogni cena col Cavaliere accetta di votare qualsiasi legge ad personam gli viene proposta, pur di farsi rinnovare, chissà come, la promessa che prima o poi arriverà la catarsi del federalismo. Lo capiscono Calderoli e Fontana quando in Parlamento e in Comune celebrano compunti a fianco di Napolitano i 150 anni d’Italia, dopo aver strizzato l’occhiolino a tutte le ridicolizzazioni  messe in piazza dai loro fan sparsi nell’ex Lombardo-Veneto. E lo capirà il frontaliere di Olgiate o di Tradate o di Viggiù che, a dieci chilometri da casa sua proverà sulla sua pelle cosa significa l’ostilità dei residenti verso chi lavora onestamente e affronta l’impopolarità solo perché straniero a due passi da casa.