Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 25/7/2011 alle 19:02

Molte donne e uomini della provincia di Varese, lavoratrici e lavoratori tessili, hanno conosciuto e amato Nella Marcellino, segretaria del sindacato quando Bassetti, Bustese, Carminati, Bellora, Malerba, Stehli, Leva, Textiloses, Divarese erano marchi e luoghi che legavano lavoro e fatica ad emancipazione e orgoglio di classe. Sembrerebbe esagerato usare un termine ormai desueto, ma stare su una roccatrice, un filatoio, un telaio e  battersi per la dignità e i diritti, uscire dai cancelli della fabbrica nell’abitato durante la pausa mensa con la tuta o il grembiule di lavoro e sentirsi cittadini a pieno titolo e alla pari con quelli normalmente vestiti, era una sensazione che rendeva giustizia di una disparità di partenza, che il lavoro con i suoi diritti riconosciuti, avrebbe colmato.

Nella, morta sabato scorso a 88 anni, era stata alla testa di questo straordinario movimento civile fondato sul lavoro, che nel dopoguerra aveva integrato e incluso immigrati e locali, operai e impiegati, dipendenti e autonomi, oltre a guadagnarsi il rispetto delle classi dirigenti con cui era in atto una continua contrattazione, basata sul riconoscimento del conflitto come base della democrazia. Ho avuto la fortuna di formare la mia esperienza sindacale accanto alla Marcellino e di farlo a Varese, insieme ad una generazione di militanti sindacali indimenticabili. Io venivo dalla fondazione del sindacato della ricerca CGIL a Ispra e mi cimentavo con autentico stupore, dopo un anno di FIOM,  con le grandi fabbriche.

Nella aveva un’aria di protezione nei miei confronti e un’affettuosa comprensione della foga con cui la generazione del ’68 affrontava la prova delle organizzazioni di massa. Era stata giovane partigiana, tra la Francia e l'Italia, poi dirigente nazionale del Pci (a Yalta seduta alla macchina da scrivere a battere il rapporto lasciato da Togliatti), infine Segretaria Generale della Filtea CGIL. Quando si fermava a dormire a casa mia, perché Varese era una grande provincia tessile che impegnava continuamente i dirigenti nazionali, raccontava ai miei figli  in età prescolare della sua infanzia al seguito del padre comunista, “vedetta” dell’Internazionale ad Amburgo, sequestrato dai nazisti e ricomparso solo anni dopo al carcere delle Molinette. Oppure della sua prima missione come partigiana a quindici anni a Torino o della organizzazione degli scioperi del ’43. Era straordinaria la sintonia tra l’intensità dei valori trasmessi e l’ammirazione trasparente e sorpresa di Guido e Lucia, che ancor oggi ricordano con ammirazione le visite di Nella.

Vien da pensare come sarebbe stata l’Italia senza quelle ragazze e quei ragazzi che come Nella entravano ancora adolescenti in clandestinità, seguendo i genitori nell’impegno antifascista. Per dedicarsi, dopo la Liberazione, a organizzare i movimenti femminili e a costruire un sindacato capace di restituire diritti e poteri ai salariati. Sono le tappe di una lunga lotta che oggi, in tempi certo meno esaltanti, rischiano di essere poste in discussione e ricacciate all’indietro.

Commenti dei lettori: 1 commento -
Grazie per il ricordo!
Scritto da Bruno Muararo il 26/7/2011 alle 10:10
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