Si è appena svolta pacificamente la grande manifestazione delle popolazioni della Val di Susa contro il tracciato della ferrovia ad alta velocità. Le loro ragioni continuano a non essere accolte in un confronto trasparente e il dialogo che si dovrebbe aprire viene surrogato da una prova sempre più muscolare di cui l’esercito è ormai parte costitutiva.

Dall’altra parte del pianeta il presidente boliviano Evo Morales ha annunciato la cancellazione di una strada, conosciuta come Tipnis dal suo acronimo in spagnolo, che doveva attraversare il territorio e parco nazionale indigeno Isiboro nell’ambito di un ambizioso progetto di sviluppo destinato a connettere via terra la Bolivia, priva di sbocchi al mare, al Pacifico e all’Atlantico. Il progetto finanziato da una banca statale brasiliana e assegnato a una compagnia di costruzione brasiliana, aveva suscitato furiose reazioni delle popolazioni indigene dell’area che denunciavano il rischio che con la strada avanzassero anche gli insediamenti illegali e la deforestazione di quella parte di Amazzonia.

Morales aveva già «sospeso» il progetto della Tipnis e ora sembra averlo definitivamente cancellato due giorni dopo l’arrivo a La Paz, venerdì, di una marcia indigena partita due mesi prima. La Bolivia con Morales, il primo indio alla guida del Paese, si è dotata di una Costituzione che riconosce lo stato di diritto ai beni comuni e ad essa si sono appellati i cittadini della regione di Isiboro, che fino a pochi anni fa, in quanto “indios” non avevano alcun diritto riconosciuto. Queste notizie sono abitualmente sottovalutate dai nostri media, ma vorrei fare osservare che per la Bolivia la rinuncia consensuale – governo e popolazioni locali - per ragioni ambientali ad un’arteria di sbocco ai due oceani è immensamente più pesante della pleonastica alta velocità Torino-Lione per cui è presidiata da oltre un anno la Val di Susa.