Un grafico al giorno leva lo spread di torno
Mario Agostinelli   agostinelli.mario@gmail.com
inserito il 25/1/2009 alle 13:44

In fila, appoggiati agli specchi della Confeteria Ideal, un tempio del tango popolare che si può frequentare lontano dai turisti, si segue con curiosità e ammirazione l’intreccio di passi audaci dei milongueros che hanno a disposizione “tre minuti solo per conquistare una donna”. Ma ci si accorge subito che il tango non è quella cosa che ci consegna una retorica esotica e peccaminosa, bensì un percorso popolare faticoso su cui si è costruita una forma d’arte e una identità che attraversa le periferie, il “campo” bianco, il suburbio nero. Una creazione collettiva che ha per teatro la strada e che si infila nelle feste di compleanno  e nei veglioni di carnevale, mentre l’Opera dei Caruso e dei Puccini tiene banco nell’alta borghesia, tra gli industriali e i proprietari terrieri che arricchiscono con donazioni i grandi teatri del Mar della Plata. Il tango, ci si accorge osservando le piastrelle policrome dell’Ideal su cui scivolano scarpe bicolori e tacchi vertiginosi, è “un pensiero triste che si balla”, con una sua storia complessa e appassionante che ha sullo sfondo lo schiavismo e l’immigrazione, ma che in Europa viene confusa con la Spagna del flamenco: Carmen con Hermelinda.
Eppure il passaggio dalla strada al teatro è stata lunga e combattuta. Quando Osvaldo Pugliese, “el maestro” deceduto nel 1995 dopo settant'anni di carriera, diffondeva l’aspetto plebeo del tango fondendolo con la musica classica, il potere guardava con sospetto l’ascesa di melodie improvvisate e cantate da autentici miti popolari come Gardel, contemporaneamente tenore e baritono. Tanto più che Pugliese era comunista e che, da quando venne incarcerato, continuò a “presenziare” nella sua orchestra con un posto vuoto di fronte alla tastiera del suo piano che veniva issato su una pedana sopraelevata. Un tale tripudio di propaganda da farlo uscire di carcere a furor di popolo e da portarlo di peso a concerti affollatissimi e sempre più acclamati. “Al Colon!” urlavano i suoi fans. E al Colon, la Scala del Sudamerica, Pugliese arrivò negli anni ‘70 per la definitiva consacrazione del Tango. Si tenga conto che i testi di questa musica originalissima hanno dato origine, a poco a poco, ad una sorta di canzoniere anonimo, un corpo unico della memoria collettiva.
Memoria che si fa un po’ leggenda, come quella prospettataci all’uscita dal  Boedo, un locale amatissimo dai vecchi ballerini. Gauchito Jil è un santo popolare bellissimo dell’ottocento, grande bandito delle pampas, Robin Hood argentino, che fu squartato perché protetto da un altro santo – Malamorte – che faceva sì che su di lui rimbalzassero le pallottole della polizia. Oggi è protettore dei ladri e sta dalla parte dei poveri, dei “cazerolazos” e dei lavoratori che autogestiscono le fabbriche dopo la crisi terribile del 2001-2002. Non ballava ancora il Tango, ma, ci dicono, sarebbe stato favoloso.

Categoria: Idee e proposte
Commenti dei lettori: 1 commento -
Che meraviglia, un articolo di natura culturale e musicale, per quanto con taglio sociale, in quest'epoca di crisi e di notizie un po' ripetitive su Malpensa e dintorni! Il tango è passione, addirittura è considerato una terapia per la depressione...Ho avuto la fortuna di ascoltare un duo eccezionale (Felice Clemente e Javier Perez Forte) nel loro folktangojazz del Sudamerica: esperienza memorabile, in un piccolo Comune del Varesotto! Meno insolita a Milano...
Scritto da rita gaviraghi il 26/1/2009 alle 07:48
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