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inserito il 29/6/2009 alle 13:18

Le ragioni per cui si sceglie un certo mestiere non sono mai facili da spiegare. C’è chi lo fa per vocazione, chi per guadagno, chi per esigenza, chi per circostanza. Tante ragioni per un’avventura che occuperà una parte rilevante della nostra vita, ma un solo vero perché: la passione per un cammino che sentiamo davvero nostro. Il mestiere della politica è anche questo.

Può essere vissuta in vario modo: come un puro esercizio del potere, come desiderio di protagonismo o come appagamento di sé. Un cammino di questo tipo, in qualunque direzione esso vada, non si muoverà mai lungo le direttrici dell’incontro con l’altro e resterà per sempre confinata nell’ideologia e senza alcuna possibilità di incidere veramente sulla vita dei cittadini. Un’idea distorta del fare politica è una delle principali cause che ha portato a una generale sfiducia nei confronti della sfera pubblica. Si arriva addirittura ad affermare che la vita quotidiana è una cosa e le pratiche di governo sono un’altra.

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inserito il 15/6/2009 alle 10:50

Kakà e Cristiano Ronaldo al Real Madrid in cambio di 166 milioni di euro. È la notizia che più di tutte ha fatto discutere negli ultimi giorni. Ancor più della visita di Gheddafi, ancor più del gossip elettorale, ancor più della nuova legislatura che sta per aprirsi al Parlamento europeo. 

Durante la campagna elettorale appena conclusasi ho cercato di far capire agli elettori il peso che ha l'Europa nella vita quotidiana di ognuno di loro. Lo sport in generale, ma soprattutto il calcio, essendo il più popolare, influiscono moltissimo sull'opinione pubblica di tutta Europa. Pensiamoci bene, se il dibattito sull'Europa fosse soltanto la metà di quello sullo sport avremmo colmato l'enorme deficit di democrazia in cui versiamo oggi.

Ma cosa fa e cosa può fare l'Europa per lo sport oggi? Perché nonostante la Spagna sia il paese di gran lunga più colpito dalla crisi economica (oltre il 18% di disoccupazione), una società calcistica può permettersi di spendere più di 150 milioni di euro in due giorni? Come può intervenire affinché prevalgano i valori positivi dello sport, la bellezza della competizione, le vittorie ottenute attraverso il lavoro, il talento e la passione?

La Commissione europea ha adottato nel 2007 la sua prima iniziativa globale nel campo dello sport. L'obiettivo del Libro bianco è fornire un orientamento strategico sul ruolo dello sport nell'Unione europea. Esso riconosce l'importanza sociale ed economica dello sport. Il Libro bianco è il risultato di ampie consultazioni svolte con organizzazioni sportive, come i comitati olimpici e le federazioni sportive, nonché con gli Stati membri e altre parti interessate.

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inserito il 23/4/2009 alle 15:32

Ogni volta che si avvicina una scadenza elettorale è giusto domandarsi perché. Cosa cerchiamo, cosa speriamo, a cosa miriamo con un voto, con quel voto. Prima del 6 e 7 giugno ci porremo la domanda in alcune centinaia di milioni di europei, visto che da quella data uscirà la nuova composizione del Parlamento di Bruxelles. E dunque, perché? Influire sulle prossime normative sull’agricoltura? Spingere nella direzione di una politica estera comune? Dare un esempio alle nuove generazioni continentali di quel che le vecchie hanno saputo costruire? Messa così, la faccenda sembra destinata ad un vicolo cieco. Sinceramente: può un europeo razionale pensare che il suo voto possa concretamente determinare qualcosa dell’agricoltura o della politica estera? E d’altra parte in molti nutrirebbero dubbi anche sull’esemplarità della laboriosissima costruzione comunitaria. L’Europa del dopoguerra è sempre stata un misto di grandiose speranze, parziali realizzazioni e consistenti disillusioni, ma da un periodo ormai troppo lungo il terzo ingrediente del cocktail ne ha pesantemente alterato il sapore. L’oltraggioso rifiuto opposto alla citazione delle radici cristiane da parte di una incredibile Convenzione (nel senso proprio di non credibile, come si è visto successivamente con i referendum bocciati). Lo svuotamento dei valori e dei diritti sostanziali. L’assalto vincente delle lobbies dei “nuovi costumi”. La crescita della tecno- e della buro-crazia. Il malriuscito allargamento a Est. Davvero non sarebbe difficile andare avanti per qualche decina di righe ad elencare questioni irrisolte o risolte tremendamente male. E il voto di giugno, è bene saperlo, non cambierà le tendenze dell’Europa del XXI secolo. Di nuovo, dunque, dobbiamo chiederci perché: a cosa servirà il mio voto? Ma se questa è la domanda, le risposte sono obbligate, e sono quelle date, destinate soltanto ad accrescere il fossato tra le aspettative e la politica reale, nel migliore dei casi rinviando l’appuntamento ad un’altra scadenza, o ad un altro partito, o ad un’altra strategia.

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inserito il 22/4/2009 alle 11:20

Si è aperta ieri a Gine­vra la Confe­renza delle Nazioni Unite sul razzismo. Gli auspici non sono stati dei migliori fin dall’inizio: gli oc­cidentali sono arrivati a questo appuntamento divisi, alcuni paesi hanno garantito la presenza, altri hanno preferito defilarsi. Stati Uniti, Israele, Canada, Australia e Ita­lia hanno confermato la loro ferma decisione a non partecipare. Anche Olanda e Germania all’ultimo momento hanno preferito non prendervi parte. La ragione è semplice: non c’erano garanzie sufficienti affinché nel corso della Conferenza si evitasse uno sterile atto di accusa contro Israele e contro l'Occiden­te.

I lavori preparatori sono stati dominati dai Paesi islamici, come già accadde nella precedente conferen­za di Durban nel 2001. La Gran Bre­tagna e la Francia, invece, hanno scelto di essere pre­senti anche se poi, dopo le frasi inaccettabili del presidente iraniano Ahmadinejad, hanno lasciato la conferenza già disertata da molti Paesi europei e non.

A suscitare la dura protesta di Israele è stato proprio il leader iraniano, arrivato a Ginevra e accolto con tutti gli onori dalle massime autorità elveti­che e che è stato fra i primi a pren­dere la parola nella tribu­na che l’Onu ha messo a disposizio­ne.

Desta non poche preoccupazioni il fatto che ad una Conferenza sul razzismo, che dovreb­be essere espressione dell'impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti umani, possa impunemen­te prendere la parola chi ritiene la Shoah un’invenzione e chi presiede un regime che ha al proprio attivo l'assassinio di centinaia di oppositori politici.

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inserito il 9/4/2009 alle 11:45

Quella che ci lasciamo alle spalle è una settimana importante per Bruxelles. Il Parlamento europeo ha approvato mercoledì scorso la Risoluzione su coscienza europea e totalitarismi. Su mia proposta e di altri 10 deputati del Gruppo del Partito Popolare europeo, l'Europa arriva finalmente a riconoscere il totalitarismo comunista come parte integrante e terribile della storia comune d’Europa e chiede che la responsabilità per i suoi crimini sia accettata a livello europeo, così come da decenni si agisce per i crimini del nazismo e del fascismo.

Il Parlamento europeo è preoccupato per il fatto che la disintegrazione dei regimi comunisti totalitari in Europa non è stata seguita in tutti i casi da un’inchiesta internazionale sui reati commessi dai regimi stessi ed esorta tutti gli Stati post-comunisti a effettuare una valutazione morale e politica del loro passato recente e a fornire le risorse necessarie per la ricerca scientifica e l'accertamento dei fatti.

In dettaglio la risoluzione condanna i crimini commessi da tutti regimi totalitari, il Parlamento sottolinea il successo dell'integrazione europea e l'esigenza di evidenziarne le conquiste, anche con una visione comune della Storia. Chiedendo di mantenere vive le memorie del passato, sollecitando l'apertura completa degli archivi segreti, specie in Russia, auspica poi la proclamazione di una "Giornata europea del ricordo" delle vittime del totalitarismo. 

Occorre sottolineare che la mancanza di un’autorevole valutazione morale e politica di questi crimini, in quanto potenziale fonte di frustrazione, cinismo e alienazione sociale per milioni di cittadini, deve essere vista come un notevole ostacolo alla formazione di solide società civili nei paesi post-comunisti e come un fattore che sta rallentando il ritmo di integrazione europea.

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